La responsabilità della Gran Bretagna
“Quel che abisso tace” di Maura Maffei edito da Parallelo45, è un viaggio nella memoria. Un viaggio doloroso che accompagna il lettore nella vita di 446 civili italiani residenti in Gran Bretagna considerati improvvisamente nemici del Paese. Siamo negli anni della Seconda Guerra Mondiale, precisamente nel 1940, quando Mussolini dichiara guerra alla Gran Bretagna. Improvvisamente a centinaia di civili italiani è tolto qualsiasi diritto. Case rastrellate e molti connazionali mandati su una nave diretta chissà dove.
Nell’intervista che l’autrice gentilmente ci ha concessi, ci sono i dettagli di una vicenda che ha dell’incredibile. Parliamo della nave Arandora Star su cui la Gran Bretagna stipa centinaia di civili italiani, perché ormai ritenuti nemici. La nave, però, viene presto affondata. E’ scambiata, infatti, per una nave militare da carico a causa di una mancanza della Gran Bretagna. Sull’ Arandora Star, infatti, ci sarebbero dovuti essere i simboli della Croce Rossa o di altro Ente umanitario. Tali simboli sono indispensabili per segnalare il solo trasporto di internati civili…
Maura Maffei è una scrittrice appassionata di lingua e cultura irlandese che ha al suo attivo numerose pubblicazioni. E’ un soprano, lavora, si dedica al volontariato ed è parente di una delle vittime. Maura Maffei con “Quel che abisso tace” ha sentito il dovere morale di portare all’attenzione di tutti noi una storia scomoda, troppo spesso dimenticata.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare l’autrice, alla quale abbiamo chiesto alcuni dettagli sui personaggi del suo romanzo e non solo.
“Quel che abisso tace” di Maura Maffei
Lei hai scelto di ambientare la sua storia nel periodo della Seconda Guerra Mondiale. Come mai? C’è stato un evento, un’informazione che ha catturato la tua attenzione e che l’ha spinta a scrivere su questo argomento?
Come autrice di romanzi storici, non ho un’epoca prediletta: mi piace indagare il passato come chiave di lettura per il presente. Di solito è l’Irlanda la mia fonte di ispirazione, non solo per i suoi paesaggi incantati ma anche per la forza del suo popolo, che ha subìto 8 secoli di dominazione straniera senza mai darsi per vinto. Ma “Quel che abisso tace” è un libro diverso da tutti i miei precedenti: racconta, infatti, il tragico affondamento dell’Arandora Star, avvenuto al largo delle coste irlandesi all’alba del 2 luglio 1940. Annegarono 805 persone su circa 1550 imbarcati e 446 erano italiani civili, che erano stati internati in Gran Bretagna, dove lavoravano e vivevano con le loro famiglie, dopo la dichiarazione di guerra di Mussolini, il 10 giugno 1940. Erano stati considerati nemici in quanto italiani e rastrellati casa per casa come possibili spie. Gli sventurati connazionali dell’Arandora Star, in tutto 712, erano destinati a un campo di internamento in Canada ma non vi giunsero mai: furono le vittime innocenti e ancora oggi purtroppo ignorate del primo eccidio di italiani civili della Seconda Guerra Mondiale e per me è diventato un dovere morale narrare la loro vicenda.
C’è un personaggio del suo romanzo a cui si è particolarmente legata? E perché?
“Quel che abisso tace” potrebbe essere definito un romanzo corale perché tante sono le figure, con ruoli più o meno ampi, che emergono tra le pagine. Ciascuno di loro è stato da me costruito con tanto affetto e con il desiderio di renderlo il più possibile credibile e vero. Ma se dovessi sceglierne uno, questo sarebbe senz’altro Cesare Vairo, che dal 1928 al 10 giugno 1940 fu il direttore del Piccadilly Hotel di Londra, ancora oggi uno degli alberghi più noti della capitale inglese, e che poi venne arrestato con gli altri italiani.
Mi è sempre stato descritto come un uomo molto elegante e dal carattere impetuoso, cui piaceva immensamente scrivere: era infatti anche giornalista ed era corrispondente dalla Gran Bretagna per alcune testate che venivano pubblicate in Italia a quell’epoca. Era, soprattutto, il cugino di primo grado di mia nonna Teresa Vairo: siccome morì senza figli, toccava a me, quale parente prossima, prenderne il testimone e raccontare che cosa accadde a lui e agli altri che gli furono compagni di disgrazia. E quando, nel luglio 2019, il romanzo ancora inedito si è classificato primo al Premio Letterario Bormio Contea è alla loro memoria che ho dedicato la vittoria.
Quel che abisso tace riporta alla nostra memoria un evento tragico, citato sempre molto poco. Lei si è documentata molto per scrivere il suo romanzo. Quanto tempo è durata la stesura del libro?
Non è stato facile perché l’affondamento dell’Arandora Star è un fatto scomodo, tanto che non è neppure citato sui manuali di storia. La nave, infatti, fu silurata da un sottomarino tedesco ma con gravissima responsabilità britannica, dato che non fu rispettata la Convenzione di Ginevra secondo la quale ogni nave prigionieri doveva avere la scorta di due incrociatori, che non c’erano, e avere almeno sui fumaioli il contrassegno della Croce Rossa o di altra organizzazione umanitaria internazionale. Questo non avvenne e l’Arandora Star fu scambiata per una nave militare da carico.
Nelle approfondite ricerche storiche che ho effettuato sono stata molto aiutata dai familiari delle vittime (ho parlato anche con i figli, ormai novantenni), in particolare da Giuseppe Conti, quale responsabile del Comitato Pro Vittime Arandora Star di Bardi (il comune dell’Appennino parmense che ha pagato il prezzo più alto, con 48 morti). La storica Maria Serena Balestracci, considerata la massima esperta italiana di Arandora Star, ha poi controllato che la mia narrazione fosse coerente con quanto avvenne. La stesura del romanzo, infine, mi ha impegnato per un paio d’anni.
I suoi personaggi si ispirano a persone realmente esistite o sono tutte frutto della sua fantasia?
A parte Oscar, il protagonista, che dovevo dislocare anche su scenari diversi, tutti i personaggi del mio romanzo che ho fatto salpare con l’Arandora Star sono ispirati a uomini reali i quali, tra vittime e sopravvissuti, in quel terribile 2 luglio 1940 sulla nave c’erano davvero. Le loro storie mi hanno commosso e, dovendo inserire una ventina di personaggi, ho scelto d’intrecciare sulla scena quelle che recassero al lettore un messaggio di speranza. Ho scelto il coraggio, l’eroismo e la generosità di chi nel momento più tragico ha dato il meglio di sé, sacrificandosi affinché altri si salvassero.
Penso ad esempio a Guido Conti che, arrestato mentre la moglie Eva era al nono mese di gravidanza, non vide nascere il suo unico figlio e non lo conobbe mai perché, durante il naufragio, cedette la propria zattera di fortuna a un amico che non sapeva nuotare e morì d’ipotermia tra le onde. O penso a padre Gaetano Fracassi, parroco di una parrocchia poverissima di Manchester, che rimase sino all’ultimo sul ponte della nave che stava affondando, per consolare e per benedire tutti gli sventurati che vedevano la morte imminente senza poterla scampare.
Lei è una parente stretta di una delle 446 vittime civili italiane dell’affondamento dell’Arandora Star. Chi era in famiglia che le riportava notizie su come si trovavano e vivevano i suoi parenti in Gran Bretagna?
Era mia nonna Teresa a raccontarmi la triste parabola del cugino Cesare, la sua folgorante carriera, che lo aveva portato in pochi anni a essere agiato e stimato, e la sua improvvisa caduta, con una morte immeritata per colpa degli inglesi. Sebbene lei non conoscesse il nome della nave, come molti altri familiari attribuiva proprio agli inglesi la maggiore responsabilità nella tragedia: doveva averglielo riferito Lola, la vedova di Cesare, quando alla fine della guerra era venuta in Italia, per portare una parola di conforto al padre ultraottantenne del marito.
Nella primavera del 2017, io m’imbattei per caso in poche righe che citavano l’Arandora Star. Seguendo una repentina intuizione, aprii Internet e scrissi sulla barra del motore di ricerca le parole “Arandora Star, 2 luglio 1940, Cesare Vairo”. Immediatamente mi comparve l’elenco delle 446 vittime italiane e… lui c’era! Essendo in ordine alfabetico, era il numero 429. Scoppiai a piangere, come se fosse un lutto presente, e telefonai a mia zia Maria, che ha 91 anni e che è l’ultima parente ad averlo conosciuto di persona, dicendole: «Zia, ho ritrovato Cesare! Mi aiuti a scrivere un romanzo su di lui?»
Lei ha una vita personale molto attiva. Fa volontariato, lavora, è un soprano, insomma è sempre impegnata! Quando trova il tempo per fare le sue ricerche e scrivere?
Purtroppo il tempo è sempre troppo poco e occorre lottare per destinarne una parte al mio lavoro di scrittrice. Da anni, ormai, il mio obbiettivo è scrivere almeno un paio di ore al giorno e di farle rendere il più possibile. Non conosco il blocco dello scrittore perché non me lo posso permettere. Quando apro il computer per scrivere un paio di pagine, devo già avere tutto in testa. Così mi sono allenata a vivere le scene dei miei romanzi mentre passo l’aspirapolvere o mentre stiro: vedo tutto come se fosse un film, lo memorizzo e poi lo trascrivo non appena giungono quelle due ore tutte per me.
A volte butto giù in fretta qualche frase persino sui fogli di carta da cucina, per poi ricopiarle in un secondo tempo. Dedico molto tempo (anche 6-8 mesi) alla rilettura del testo finito, per migliorarlo il più possibile con un lavoro di lima. Naturalmente le mie sudate due ore tutte per me non mi servono solo per scrivere, ma anche per fare ricerca storica, per telefonare a testimoni diretti, per confrontare fonti iconografiche e per studiare la lingua irlandese. Quindi purtroppo non riesco a scrivere davvero tutti i giorni, come invece vorrei.
Che progetti ha per il futuro?
A marzo uscirà il mio prossimo romanzo, sempre per i tipi di Parallelo45 Edizioni (come “Quel che abisso tace”), che è pronto da tempo. Torno al Medioevo, dopo anni di storie ambientate in epoca più recente, e racconto l’Irlanda al tempo dell’evangelizzazione di san Patrizio. Ho cercato di creare un intreccio avvincente, con intrighi e colpi di scena, ma la figura del patrono d’Irlanda è ricostruita con molto rigore, studiando i suoi scritti, per farlo parlare nei dialoghi come lui avrebbe effettivamente parlato. Intanto sto scrivendo il mio nuovo romanzo che, se tutto va bene, sarà concluso entro il 2022.
Non sono riuscita a scendere dall’Arandora Star e, pur essendo assolutamente slegato da “Quel che abisso tace”, in questo ne narrerò altri aspetti, ossia l’odissea dei 200 sopravvissuti italiani che vennero internati in Australia, senza che fosse loro concesso di riabbracciare mogli e figli, dopo aver scampato la morte, e il dolore atroce delle spose delle vittime che, in Gran Bretagna, rimasero sole a tirare avanti la famiglia e magari l’attività (i mariti erano titolari di caffetterie, gelaterie, fish & chips…). Alcune ce la fecero, con un coraggio da leonesse, altre morirono di stenti.