Sabato 6 ottobre 2018 doppio appuntamento per la ricorrenza del 40° anniversario della morte di Claudio Miccoli, spirato dopo sei giorni di coma in seguito alle feroci bastonate inflittegli da un gruppetto di giovani neofascisti a piazza Sannazaro il 30 settembre 1978.
-Alle 9,15 c’è stato il raggruppamento a piazza Sannazaro davanti alla lapide a lui dedicata
-Alle 16,30, nell’antisala dei baroni del Maschio Angioino, è stato presentato il libro ispirato alla vita di Claudio Miccoli “Dopo la pioggia le foglie sono verdi”, di Salvatore D’Antona, con prefazione di Luca Telese.
La mattina in piazza Sannazzaro il sindaco di Napoli Luigi De Magistris ha deposto fiori sulla lapide, che fu posta il 6 ottobre 1998, a vent’anni dalla morte e che recita: “A Claudio Miccoli / vittima a vent’anni dell’intolleranza / e della violenza / per non dimenticare”.
Il Consigliere Circoscrizionale di San Carlo all’Arena Francesco Ruotolo ha ricordato l’attività ambientalista di Claudio Miccoli, che monitorava i passaggi della fauna nel Parco Nazionale dell’Abruzzo. Rosanna Miccoli, sorella di Claudio e presidente dell’Associazione che ne custodisce e promuove la memoria, ha raccontato come il dolore si sia trasformato in condivisione di valori proprio grazie all’Associazione. Infine il sindaco De Magistris ha messo a fuoco il clima degli anni ’70, un clima di tensione che entrava nei racconti e nelle discussioni anche all’interno delle famiglie, e che (aggiungiamo noi) si va riproponendo, mutatis mutandis, anche oggi. “È difficile non schierarsi”, dice De Magistris, e tutto sommato non è neppure auspicabile, dato che “l’indifferenza favorisce i peggiori” (implicita la citazione gramsciana: “Odio gli indifferenti”).
Annus horribilis, quel 1978: 38 è il numero di morti per mafia o per politica (o per entrambe).
Il caso Moro occupò tutte le cronache per l’importanza e la notorietà della vittima, per la complessità delle responsabilità (ancora oggi non del tutto chiarite), per la rilevanza politica e umana che assunse per tutti noi. Ma, come abbiamo detto, non fu il solo, e la sua risonanza fece sì che si parlasse poco o nulla di altri omicidi, e in particolare dei due forse più inquietanti: quello di Peppino Impastato a Palermo e quello di Claudio Miccoli a Napoli, il primo legato alla mafia (ma con sospette collusioni in apparati dello Stato), il secondo tutto “politico”, con virgolette d’obbligo perché si tratta di politica becera, ai livelli più bassi di elaborazione.
Ventenne, impegnato in battaglie ambientaliste (era consigliere nel WWF della Campania), Claudio Miccoli era a piazza Sannazaro il 30 settembre di quell’anno quando vide un gruppo di giovani neofascisti picchiare un ragazzo perché in possesso di un giornale di sinistra.
Non seppe tacere, e siccome credeva nel dialogo e nella ragione avvicinò il gruppetto degli aggressori chiedendo loro semplicemente una spiegazione del loro gesto.
Fu assalito con bastoni che gli fracassarono il cranio. Trasportato in ospedale, ebbe il tempo di raccontare l’accaduto prima di entrare in coma.
Morì il 6 ottobre, e grazie alla donazione dei suoi organi, da lui sempre lucidamente voluta, oggi due persone vedono.
Diversamente da quanto accadde per gli omicidi Moro e Impastato (le cui vicende giudiziarie si chiusero tardi, con condanne forti ma con non tutte le responsabilità chiarite), il processo agli uccisori di Miccoli durò relativamente poco, non lasciò dubbi sull’identità dei colpevoli, ma ebbe un esito penale molto blando. Dei nove imputati uno scontò 14 anni di carcere e un altro 6 anni (per concorso). Gli altri sette furono rilasciati perché nel frattempo avevano già scontato le lievi condanne che furono loro inferte.
Eppure la famiglia Miccoli non è mai stata interessata alla prosecuzione ad oltranza dell’azione giudiziaria, e non perché avesse motivo di sentirsi soddisfatta dell’esito del processo, ma semplicemente per coerenza con gli ideali del loro congiunto, fermo pacifista e sostenitore dei metodi non violenti.
L’azione dei familiari è andata piuttosto in un’altra direzione, sempre in coerenza con gli ideali di Claudio. Infatti nel 1998 si costituì il “Comitato Claudio Miccoli”, voluto dalla sorella Rosanna e dal fratello Livio. Nel 2012 il Comitato si trasformò nell’Associazione Claudio Miccoli, che intende ricordare il giovane pacifista e ambientalista con iniziative per la diffusione della cultura della Nonviolenza e per la difesa della natura.
Molte infatti le azioni dell’Associazione: dai campi estivi che coinvolgono studenti alle marce insieme con altre associazioni pacifiste, alle iniziative cittadine, a quelle editoriali.
Fra le prime ne ricordiamo due: la realizzazione e restituzione degli occhiali che erano stati rubati al busto di Gandhi al Parco Virgiliano (avvenuta con apposita cerimonia il 9 giugno di quest’anno); e la “Città della pacienza”, un’iniziativa che ha prodotto una mappa di dieci luoghi di Napoli caratterizzati da elementi o da un vissuto ispirati alla pace e alla Nonviolenza: tra essi, appunto, il parco virgiliano col busto di Gandhi, l’aiuola della pace a piazza Sannazaro (dove fu ucciso Claudio), alcune opere della street art (tra cui una di Felice Pignataro, l’artista pacifista di Scampia), e poi l’Orto Botanico, che – non tutti lo sanno – ha un legame forte con la città di Hiroshima, alla quale fornì semi e piante per ricostruire la vegetazione che l’atomica aveva distrutto.
Tra le iniziative editoriali ricordiamo il libro intitolato “Dieci storie di Nonviolenza … più una”, un’opera a fumetti contenente un fumetto di Claudio Miccoli non portato a termine.
Ed infine, buon ultimo, il libro che è stato presentato nel pomeriggio di sabato 6 ottobre nell’Antisala dei baroni al Maschio Angiono.
Si tratta del romanzo di Salvatore D’Antona “Dopo la pioggia le foglie sono verdi”, una rievocazione – immersa nella fantasia ma basata su documentazione oggettiva – della breve ma intensa vita di Claudio Miccoli, del quale ci restituisce alcuni aspetti poco noti e meritevoli di ricordo.
Miccoli infatti, oltre all’attività di ambientalista, aveva al suo attivo una serie di interessi che andavano dal disegno (abbiamo accennato a un suo fumetto) alla fotografia, dalla diaristica riflessiva alla poesia. In appendice al libro sono infatti riprodotti alcuni documenti di queste sue attività: da una cartolina fitta di scrittura ad alcune foto, da un ironico autoritratto ad alcune poesie, a una foto da lui scattata di una cornacchia in volo.
C’è dunque un Claudio Miccoli ancora da scoprire, o da immaginare, nella misura in cui non ebbe il tempo per sviluppare le sue doti e i suoi progetti, anche artistici ma soprattutto umani.
Tra le ultime parole di Claudio Miccoli, riferite dalla sorella durante la rievocazione a piazza Sannazaro, c’è questa frase interrotta a metà, che lui disse ai medici in ospedale prima di entrare in coma: “Non mi hanno lasciato il tempo: io volevo parlare, volevo spiegare, volevo…”.
A queste parole la sorella aggiunge: “Come amiamo ripetere spesso, noi il tempo per parlare e spiegarci ce l’abbiamo ed intendiamo continuare ad usarlo”. È questa la sostanza dell’’Associazione Claudio Miccoli.
Ma l’esperienza di questo ragazzo ci lascia anche un insegnamento in più, di cui oggi abbiamo particolarmente bisogno.
Una sua poesia del 1977 inizia così: “Non scacciatemi! // Se chiedo di voi, non pensate: / ”Cosa vorrà? Chi è questo estraneo?”. / Ma accettatemi.
Sembra un messaggio oggi quanto mai attuale.