C’era chi sosteneva che la specie umana progredisse con l’avanzare dei secoli. Secondo l’esperienza di Halen, tuttavia, la razza che si ostinava a definirsi sapiens poteva imboccare soltanto una direzione: prima o poi sarebbe scomparsa, come era accaduto alle altre che si erano susseguite su quello strano pianeta che i più chiamavano Terra.
Sapiens. Un nome pretenzioso per i discendenti di una scimmia, pensava spesso tra sé. Come potessero autocelebrarsi in quanto specie dominante rimaneva per lui un mistero.
Un esempio calzante per la sua teoria involutiva stava giusto attraversando la strada in quel momento.
Dal muretto su cui era seduto, Halen osservò con malcelato disgusto l’uomo che avanzava sulle strisce pedonali. La repulsione che avvertiva non era dovuta all’aspetto esteriore dell’uomo, il quale indossava un completo dal taglio elegante, perfettamente pulito e ordinato.
No, Halen sapeva che gli umani non andavano giudicati secondo l’estetica. Il loro odore li precedeva sempre, e questo esemplare puzzava davvero. Un tanfo di zolfo che gli fece prudere il naso. Non gli capitava spesso di incrociare individui tanto repellenti, e dire che aveva vissuto in epoche dove l’igiene personale era considerata di secondaria importanza.
Halen inspirò piano dalla bocca per arginare il fetore che lo colpiva a ondate.
La bellezza fisica dell’uomo dal completo elegante mal si accompagnava con l’arrogante noncuranza con cui si liberò del bicchiere di plastica da cui stava bevendo. Semplicemente, lo buttò a terra, ignorando di proposito l’opportuno contenitore per l’immondizia a qualche passo di distanza.
Gli umani non si rendevano conto di quanto risultassero sgradevoli, e non solo da un punto di vista alieno. Sgradevoli e dannosi, si disse Halen, mentre seguiva con gli occhi la traiettoria del bicchiere. Lo osservò cadere sul marciapiede e rotolare per alcuni metri, per poi accasciarsi accanto ad una delle siepi che costeggiavano il parco.
E pensare che, secoli orsono, Halen aveva scelto questo pianeta di sua spontanea volontà. Perché accidenti non glielo avevano impedito? Uno degli altri Esuli avrebbe dovuto metterlo in guardia prima del Grande Viaggio.
Così, forse, non sarebbe finito a fare da balia ad una specie che contribuiva da sola alla propria estinzione.
Halen rilasciò un lungo sospiro, poi si alzò agilmente dal muretto e mosse qualche passo verso l’uomo.
Salvo fermarsi di colpo alla vista di lei.
Una ragazza esile stava marciando decisa verso Tizio Elegante. Quello che colpì Halen, tanto da spingerlo a restare immobile per osservare meglio la scena, non fu il modo pacato con cui lei si rivolse al suo simile, invitandolo a recuperare il proprio rifiuto da terra. Non fu nemmeno la reazione dell’uomo, che si finse costernato e si affrettò a raccogliere il bicchiere e a gettarlo nell’apposito cestino.
No, ciò che lasciò Halen completamente spiazzato fu l’odore che proveniva dalla donna. Al contrario di Tizio Elegante, che ora sorrideva seducente a beneficio della giovane, lei non puzzava.
Profumava di…sale.
Halen batté le palpebre e scosse la testa. Si tappò il naso con due dita, per poi inspirare di nuovo a fondo. E fiutò ancora quella traccia lieve, quell’odore che gli rammentava la sua vera casa, un luogo che non avrebbe rivisto mai più.
Perché un Esule, una volta intrapreso il Viaggio, non poteva tornare sui propri passi. Un Esule rimaneva tale fino alla morte.
Halen valutò la giovane donna appena sopraggiunta, ancora intenta a redarguire l’uomo sull’uso corretto dei contenitori per l’immondizia. Portava i capelli rossicci arrotolati in un’alta crocchia, sostenuta da una semplice bacchetta di legno. Alcuni ciuffi sfuggiti alla precaria acconciatura le sfioravano le guance pallide, morbide ciocche color del tramonto che somigliavano a delle fiamme svolazzanti. La ragazza stringeva tra le mani un lungo ombrello di plastica trasparente e, a giudicare dal modo in cui scrutava l’uomo che le stava di fronte, Halen dedusse che avrebbe tanto desiderato fracassarglielo in testa.
L’Esule trattenne un sorriso e accolse con intima esultanza la sconfitta – e la conseguente ritirata – di Tizio Elegante. Poi, quasi senza rendersene conto, si ritrovò a camminare verso la giovane. Lei non poteva vederlo (quando voleva, Halen era in grado di celare la propria presenza agli occhi degli umani), ma di certo captò qualcosa, perché si voltò e incrociò per un attimo il suo sguardo. Dopo una leggera esitazione, la giovane si strinse nel cappotto e superò Halen senza più voltarsi.
Senza dar mostra di averlo visto davvero.
Lui respirò ancora una volta quella lieve nota salmastra, messaggera di antichi ricordi che credeva ormai perduti. Sul suo pianeta d’origine, il sale era l’unica fonte di vita e nutrimento, più o meno come lo era l’acqua per gli umani. Ed era proprio la mancanza di essa a costringere quelli come lui a cercare rifugio in angoli remoti di quella vasta galassia, ad intraprendere un lungo viaggio senza ritorno.
Un viaggio a cui non tutti gli Esuli sopravvivevano. Adattarsi ad un’altra atmosfera non poteva definirsi una passeggiata: il corpo umano di Halen rammentava molto bene l’atroce sofferenza che aveva accompagnato la sua discesa sulla Terra, un’agonia che si era protratta per decenni.
Spesso si chiedeva se ne fosse valsa la pena.
Una goccia di pioggia gli scivolò sulla guancia. Halen tornò a sedersi sul basso muretto, gettò indietro la testa e accolse con gioia l’arrivo dell’acquazzone. La pioggia attutiva l’odore degli esseri umani, un effluvio che l’Esule mal tollerava e al quale non si sarebbe mai abituato del tutto. Aveva imparato che la fragranza emanata dalla pelle di quelle creature andava di pari passo con ciò che nascondevano oltre la facciata. L’essenza interiore, ciò che i sapiens denominavano anima.
E mai, in tutte le epoche che aveva attraversato, gli era capitato di avvertire un umano profumare di sale. Quell’odore puro e familiare sostava ancora nelle sue narici, tanto che Halen fu tentato di inseguire la donna.
Se quello era solo un debole assaggio captato da lontano, chissà che sapore doveva avere la sua pelle…
Intrigato suo malgrado, Halen si alzò in piedi e seguì la debole scia che ancora sostava nell’aria umida.
*
Era seduta su una delle panche attorno al tavolo da picnic. Il legno freddo e bagnato non l’aveva scoraggiata: aveva aperto la borsa che portava a tracolla e ne aveva estratto un telo impermeabile, posizionandolo sulla panca prima di prendere posto. Poi, sempre sotto lo sguardo incuriosito di Halen, aveva allineato sul tavolino un piccolo termos e due bicchieri di carta.
Mentre l’Esule aggirava il tavolo per accomodarsi sull’altra panca, la ragazza versò il caffè nei bicchieri e ne spinse uno verso la parte opposta del piano di legno.
Dritto davanti a Halen.
Lui rimase impietrito. Trattenne il respiro e fissò le sue iridi verdazzurre sulla giovane, che ricambiò con interesse la sua occhiata indagatrice.
«Che c’è, non ti va il caffè? Ho anche del tè e dell’acqua frizzante, se preferisci.»
Halen deglutì. O almeno tentò di farlo, perché aveva la gola completamente secca. Si schiarì la voce prima di esordire con un dubbioso: «Tu mi vedi?»
«Non dovrei?», ribatté lei, in tono tranquillo.
I suoi occhi erano singolari, allungati e contornati da folte ciglia di un rosso più scuro dei capelli. Le iridi erano di due colori diversi, una verde e l’altra di un marrone che, a seconda della luce, si tingeva di nero.
Per la prima volta da che aveva memoria, Halen si ritrovò a chiedersi come dovesse apparire lui agli occhi degli umani. Se il suo volto dai tratti affilati e dalla pelle d’ebano che contrastava con il biondo grigio dei capelli, potesse suscitare un’emozione diversa dalla soggezione a cui era abituato.
Il sorriso che danzava sulle labbra di lei gli trasmise, allo stesso tempo, sollievo ed inquietudine.
«Mi chiamo Sol», si presentò, porgendogli la mano.
Le sue dita erano talmente sottili che Halen temette di spezzarle con la minima stretta. «Halen.»
«Halen», ripeté la ragazza tra sé. «Perdona la domanda non troppo educata, ma…tu cosa sei?» Lui si limitò a guardarla.
«Un fantasma, un angelo custode, un demone arrivato dall’Inferno per rapirmi…», lo incalzò Sol, strappandogli un sorriso.
Lui sospirò. «Alieno.»
Contrariamente alle sue aspettative, Sol non apparì spaventata, né troppo sorpresa. Anzi, sembrava addirittura entusiasta. «Dici sul serio? E da quale pianeta provieni?»
Halen inclinò il capo. «Non sembri affatto stupita.»
Avrebbe dovuto. Perché diamine non lo era?
Sol si strinse nelle spalle. «Credimi, ho visto tante stranezze in vita mia. Conoscere un alieno mi mancava, in effetti.» Bevve un sorso di caffè e Halen la imitò. Lei lo guardò versare una bustina di sale nel bicchiere senza battere ciglio. «Come dovrei chiamare il mio dono? Sesto senso, seconda vista, abilità paranormali…A te la scelta.»
Halen inarcò un sopracciglio. «Tu riesci a vedere cose che gli altri umani non vedono», rifletté ad alta voce, e il sorriso di Sol divenne più ampio.
«Grazie. Detto da te suona molto poetico», disse, abbassando gli occhi sul bicchiere fumante che teneva tra le mani. «Scommetto che non hai vita facile tra la gente… normale. L’uomo ha da sempre paura di chi è diverso, di chi non si conforma a determinati standard. L’ho sperimentato sulla mia pelle da quando sono al mondo», aggiunse, facendo un gesto vago in direzione del proprio viso.
Halen avvertì una fitta al centro esatto del petto. Già, nessuno più di lui poteva comprendere quel genere di dolore. La non accettazione, l’emarginazione, il sospetto che scorgeva nello sguardo altrui. E lui sapeva di meritarlo – non era altro che un ospite parassita su quel pianeta, dopotutto -, ma per Sol era diverso.
Lei era considerata un’anomalia dai suoi stessi simili.
Senza pensarci, allungò una mano e la posò con delicatezza su quella di lei. «Al contrario di quello che vogliono vendervi i registi di fantascienza, la nostra è una specie pacifica. Non abbiamo nessun obiettivo guerrafondaio, non siamo colonizzatori e nemmeno interessati a condurre esperimenti genetici. Anzi, nella maggior parte dei casi siamo noi a proteggere voi.»
«Dei poliziotti interstellari, insomma», scherzò lei.
Halen si unì alla sua risata. «Qualcosa del genere. È il nostro modo per ripagare la vostra ospitalità. Siamo stati costretti a lasciare il nostro pianeta perché sta lentamente morendo, ma non vogliamo conquistarne un altro. Siamo del tutto innocui, ma se la nostra esistenza venisse rivelata…» Scosse la testa. «Sappiamo entrambi come andrebbe a finire.»
Rimasero in silenzio per qualche minuto, finché Halen non riportò i suoi occhi verdazzurri su Sol. Teneva ancora la mano di lei stretta nella propria, non aveva nemmeno pensato di lasciarla andare.
Lo sguardo di Sol si fece comprensivo. «E non puoi tornare a casa, vero?» Halen sospirò. «No.»
«Ci vuole tanto coraggio per compiere un viaggio del genere. Io non so se ne sarei in grado», ammise lei, soppesando le loro mani unite con aria concentrata. «Non riesco nemmeno ad immaginare la sofferenza e la solitudine che devi aver provato.»
«Qualsiasi futuro, anche uno triste e solitario, è sempre meglio di nessuno.»
Sol gli diede un’ultima stretta, prima di alzarsi dalla panca. «Allora, Halen. Vogliamo andare?» Lui la fissò stranito. «Andare dove?»
«Al cinema, ovviamente!» La ragazza diede una rapida occhiata all’orologio. «Danno un film con protagonisti degli alieni cattivissimi. Non te lo puoi perdere.»
Halen cercò di rimanere serio, ma fallì miseramente. «Sei la più strana umana che io abbia mai incontrato. Non dovresti dare tanta fiducia agli sconosciuti. Specialmente a quelli che appartengono ad un’altra specie.»
Sol spostò una ciocca rossa dietro l’orecchio. «Sai, ho sempre pensato che la fiducia fosse un po’ come il sale.» Gli prese la mano e intrecciò le dita tra le sue. «Non ne va mai elargita troppa, né troppo poca. Solo…quanto basta.»