Polemiche in rete per la nuova campagna pubblicitaria di Calvin Klein. Il marchio ha pubblicato una foto provocante di una ragazza accompagnata dall’hashtag #mycalvins. che si è trasformato in un boomerang.
Numerose le proteste da parte dei follower. Una campagna cui ha partecipato anche Kendall Jenner e che, ancora una volta, mette i vestiti in secondo piano, privilegiando la provocazione. In modo eccessivo, secondo molti utenti dei social network, che nelle scorse ore stanno prendendo il marchio statunitense, accusandolo di sconfinamento nella pornografia.
In particolare nel mirino delle critiche si trovano un “belfie”, ovvero un selfie del lato B di Klara Kristin, o fotografia upskirt (termine con cui si definisce la ripresa della figura femminile ripresa dal basso verso l’alto in modo da evidenziarne la biancheria intima, ma anche le nudità), con la modella che guarda maliziosamente in basso ma anche la foto in cui Kendall Jenner esibisce un pompelmo, frutto che vuole essere una metafora della vagina.
Le foto in questione non sono andate giù agli utenti di Instagram, che hanno aspramente criticato Calvin Klein, definendo l’immagine trash e ripugnante e disgustosa.
Alcuni hanno parlato di uno spot che riduce la persona, la donna, ad un oggetto, uno strumento di richiamo; altri l’hanno definito misogino, per non parlare del fatto che la ragazza sembra abbia meno della magiore età.
Una pubblicità sessista? Che può produrre danni nella società? E’ tutto collegato?
Le analisi sociologiche si sono sprecate e ovviamente hanno preso fiato quelle secondo cui la violenza sulle donne, viene giustificata e incrementata da immagini come quella.
Questo stile di comunicazione nelle pubblicità, può offrire un contesto favorevole dove attecchiscono molestie sessuali, verbali e fisiche, se non veri e propri atti di violenza anche da parte di giovanissimi?
Chiunque abbia un ruolo nella comunicazione deve assolutamente prendersi la responsabilità di comprendere che veicolare immagini che mostrano pezzi di corpo femminile esibiti come un richiamo per il maschio, con slogan a sfondo sessuale, può significare contribuire a mantenere e diffondere una cultura discriminatoria, con le sue violenze e le sue mercificazioni nei confronti delle donne.
Va bene provocare ma dei limiti ci devono essere e non di censura o autocensura ma di buon senso.