Nella battaglia allo spot pubblicitario l’immagine femminile ne esce più sconfitta di quella maschile. Si, perché in nome e per conto del business, modelle e attrici di bella presenza non rifiutano di recitare i copioni più disparati: dalla donna oggetto di desiderio sessuale a quella eccitata da un elettrodomestico sottocosto. Non lo dice il “femminismo” ma uno studio accurato.
La pubblicità italiana è la più sessista. Lo dimostra lo studio “Come la pubblicità racconta gli Italiani”, condotto da Massimo Guastini presidente dell’Art Directors Club Italiano (Adci) in collaborazione con Nielsen Italia e con il Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell’Università di Bologna.
Lo spot italiano propina sempre la solita solfa, doppi sensi e ruoli di puro decoro per la figura femminile italiana. Donne senza interessi se non quelli per abiti, detergenti, profumi e “cose di casa”: la forza mediatica della pubblicità le descrive così. Se ad alcune potrebbe far piacere essere identificate come Veneri dalla perfetta forma fisica e in continua palpitazione pre-orgasmica a talune, silhouette a parte, potrebbe non esser gradito, specie se di contro la figura dell’uomo viene rappresentata in ambienti lavorativi e impegnati.
L’indagine condotta ha analizzato circa 20mila campagne pubblicitarie non solo televisive. Si tratta di un’analisi effettuata su canali quali radio, affissioni, stampa e banner web. Sono state individuale dodici figure narrative femminili e nove maschili; nell’81,27% dei casi passa uno stereotipo femminile ideale di bellezza, dalla personalità insignificante, disponibile e di puro “arredamento”. La figura maschile, invece, è interessata da queste stesse caratteristiche per il 20% circa. Sconfitta non solo la figura della donna ma anche quella dell’uomo, sebbene in minima parte, poiché si tratta si di un professionista intellettualmente impegnato, tuttavia, totalmente sottoposto al richiamo del fascino femminile.
Una “realtà troppo lontana dalla realtà” sia per le donne che per gli uomini, quest’ultimi troppo sbilanciati verso il lavoro e raramente dipinti come padri di famiglia ( solo il 4,3% dei casi pubblicitari analizzati). Uomo, dunque professionista, e donna oltre che detentrice di appetiti sessuali smisurati, dall’umore adolescenziale e isterico. Si urla davvero di gioia per la consegna di un paio di scarpe? Se il pavimento risulta più lucido? Certo che no! Per il suo potere mediatico, lo spot pubblicitario è notoriamente molto più subdolo di quanto si possa pensare.
Il messaggio finale, quello che arriva al pubblico, al netto di ammiccamenti e corse frenetiche alle gonnelle pubblicitarie, è molto potente. I media contribuiscono a creare il linguaggio e il simbolismo globale, trasmettere messaggi distorti crea inevitabilmente distorsione nella realtà. Messaggi che, a tamburo battente, eccitano la mente a livello inconscio stimolandola alla creazione di convinzioni e ideologie distanti dalla realtà, per non parlare della suggestione legata alla promozione del prodotto in sé.
“Molti di noi vengono oggi influenzati, più di quanto non sospettino, e la nostra esistenza quotidiana è sottoposta a continue manipolazioni di cui non ci rendiamo conto”. Lo scriveva negli anni Cinquanta il sociologo americano Vance Packard.
Sosteneva che esistessero dei “persuasori occulti” , professionisti della comunicazione che attraverso le più sofisticate e irriconoscibili tecniche comunicative manipolavano il subconscio dell’individuo.
La pubblicità ha lo scopo di rendere le persone etero-dirette, ossia non in grado di scegliere autonomamente il prodotto da consumare o l’abito da indossare, tuttavia, si tratta di un’arma a doppio taglio, perché è proprio su questa libertà di scelta che mirano ad agire i media. Creare un pubblico etero-diretto vuol dire creare una collettività altamente condizionabile e propensa a dirigersi verso valori veicolati, sapientemente, attraverso la manipolazione delle emozioni che generano il pensiero.
Creare ad esempio il “bisogno emotivo” di una donna sessualmente disponibile attraverso uno spot pubblicitario crea inevitabilmente il desiderio di quella realtà immaginaria che, a sua volta, comporta scompenso nella vita reale. Oltre che generare malcontento nella vita e nei bisogni umani il messaggio pubblicitario appare storicamente scorretto se si analizza l’evoluzione della figura femminile. Sembrerebbe quasi che il nudismo, lo sfondo erotico delle conversazioni femminili e la vanità siano diventate le nuove prigioni del mondo femminile.
Per quale motivo? Se prima la donna mirava a “svestire” i panni della casalinga casta, il processo di emancipazione ha subito una qualche distorsione della percezione pubblica della figura stessa svestendo la donna sic et simpliciter anche dei valori che la contraddistinguevano. D’altro canto, si vende meglio un paio di jeans indossati da una modella con la pancia piatta e seminuda che da un uomo in carne in T-Shirt e calzoncini. Donne manager, impegnate politicamente e socialmente, madri, mogli, figure cancellate con un colpo di spugna dagli spot. Si torna indietro? No. A meno che le migliaia di modelle intente a piegarsi al signor danaro si rifiutino di recitare i ruoli che i grandi pubblicitari propinano loro in nome e per conto del cambiamento dell’immagine femminile relegata ormai al ruolo di valletta pubblicitaria.