La pandemia da Coronavirus lascia un segno non solo sulla salute fisica ma anche quella mentale. Secondo gli psichiatri lo stato di ansia e stress provocato dalla pandemia da Covid sarebbe all’origine dell’aumento dei casi di suicidio registrati in quest’anno. La tesi, supportata da una scarsa dose di dati, è emersa durante il Convegno Internazionale di Suicidologia e Salute Pubblica, organizzato da Sapienza Università di Roma in occasione della Giornata Mondiale per la prevenzione del suicidio del 10 settembre. Un fenomeno che, seppur considerato frequente in tempi di crisi generale, va accuratamente monitorato.
Ansia e stress da Covid: cosa dicono gli psichiatri
Da marzo a oggi, in Italia, si sono verificati 71 casi di suicidio e 46 tentativi. I numeri citati, secondo quanto precisato dagli stessi psichiatri, sono estrapolati dai giornali che hanno riportato la notizia dei singoli eventi. Non esiste, infatti, almeno per il momento, un dato ufficiale (i dati ISTAT in merito sono fermi al 2017). Secondo l’Osservatorio Suicidi della Fondazione BRF – Istituto per la Ricerca in Psichiatria e Neuroscienze, i suicidi consumati nel 2021 sarebbero 413 mentre i tentativi sarebbero 348. Il mese con il maggior numero di casi sarebbe stato maggio (84), seguito da marzo (66) e da agosto (61). Anche queste stime, precisano dalla Fondazione BRF, sarebbero al ribasso. Una situazione così allarmante non si vedeva dai tempi della crisi economica del 2008.
Chi sono i soggetti più fragili
Mentre allora, i suicidi furono legati alla situazione economica, quindi i soggetti coinvolti furono essenzialmente imprenditori e lavoratori, in questo caso la platea, se così vogliamo chiamarla, si allarga notevolmente. L’humus nel quale maturano i gesti estremi (anche qui manca una rilevazione metodologicamente scientifica) è quello del disagio prodotto dalla pandemia dove per disagio si intende non solo l’improvvisa perdita del lavoro ma anche il senso di esclusione sociale per i soggetti ammalati di Covid, vittime di un vero e proprio stigma. Il generale senso di paura ha poi impattato duramente sulle personalità già fragili. La mancanza di servizi di cura per patologie diverse dal Covid ha reso difficile, se non impossibile, accedere a percorsi di sostegno psicologico. Questa considerazione fa pensare che il fenomeno, dunque, sia stato “epidemiologicamente” trasversale: abbia attraversato, cioè, diverse fasce d’età e strati sociali.
Doveva andare tutto bene
Dalla fotografia scattata dagli osservatori, per quanto sfocata, emerge un dettaglio significativo. I suicidi, come si diceva, si sono consumati tra le persone pazienti e fragili nelle quali ansia e stress sono state generate dallo stigma sociale. Dall’essere additate come untori, neanche fossimo ne “I promessi sposi”, o come “sfigate” perché si sono fatte contagiare. Altro che distanziamento sociale o “ci hanno chiusi in casa”: le persone che hanno tentato il suicidio (tra i quali ci sono anche molti giovani) o che si sono suicidate hanno sofferto l’esclusione sociale, non il distanziamento. Quel distanziamento che, piaccia o no a quanti (tanti) se ne sono lamentati, ci ha salvati. Su un dettaglio non si può non concordare: il fenomeno dei suicidi va monitorato accuratamente e sul lungo termine: i suicidi prodotti dalla crisi economica del 2007 si sono protratti fino al 2016.
In copertina foto di Gerd Altmann da Pixabay