La guerra commerciale con la Russia ha colpito duramente l’agroalimentare Made in Italy con un taglio delle esportazioni stimato in 600 milioni di euro nell’arco di due anni, dovuto per circa la metà al completo azzeramento delle spedizioni di ortofrutta, formaggi, latticini, carni e salumi italiani interessate direttamente dall’embargo. E’ quanto emerge dal primo bilancio sull’impatto dell’embargo russo sul sistema agroalimentare italiano a quasi due anni dall’avvio del blocco stilato dalla Coldiretti in occasione della protesta di migliaia di agricoltori italiani che con i trattori sono scesi in piazza al Cattolica Center di Verona, all’indomani della decisione del presidente russo, Vladimir Putin, di prolungare l’embargo imposto sui beni alimentari fino al 31 dicembre del 2017.
L’agroalimentare è l’unico settore ad essere colpito direttamente dall’embargo totale sancito dalla Russia con una lista di prodotti per i quali è del tutto vietato l’ingresso, frutta e verdura, formaggi, carne e salumi, ma anche pesce, provenienti da Ue, Usa, Canada, Norvegia ed Australia con decreto n. 778 del 7 agosto 2014 e successiva proroga. A rendere più pesante il bilancio dei danni è però il fatto che al divieto di accesso a questi prodotti si sono aggiunte le tensioni commerciali che hanno ostacolato di fatto le esportazioni in tutto l’agroalimentare e anche negli altri settori, dalla moda ai mobili fino alle auto, in cui era tradizionalmente forte la presenza italiana. Il risultato è che le esportazioni Made in Italy nel paese di Putin sono scese al minimo da almeno un decennio con una perdita stimata nei due anni di 7,5 miliardi rispetto ai valori precedenti l’embargo.
Le tensioni commerciali con la Russia hanno interrotto bruscamente una crescita travolgente delle esportazioni agroalimentari italiane verso la Russia, che nei cinque anni precedenti il blocco erano più che raddoppiate in valore (+112%). A salire sul podio dei prodotti agroalimentari Made in Italy più colpiti direttamente dall’embargo in termini di taglio in valore delle esportazioni sono nell’ordine l’ortofrutta per un valore di 149 milioni di euro, soprattutto per mele, kiwi e pesche, poi i prodotti lattiero- caseari, per un importo di 80 milioni di euro principalmente per Grana Padano e Parmigiano Reggiano, e infine le carni e i salumi con perdite di 39 milioni di euro.
In termini quantitativi nel corso dei due anni di embargo sono stati “respinti” dalle frontiere russe 39,4 milioni di chili di mele italiane, soprattutto della varietà Granny Smith dal colore verde intenso e sapore leggermente acidulo, ma anche 29,5 milioni di chili di uva da tavola, 29,9 milioni di chili di kiwi, 2,8 milioni di chili di Parmigiano Reggiano e Grana Padano, 14,2 milioni di chili di pesche e nettarine e 85mila prosciutti di Parma e San Daniele a denominazione di origine.
Ma l’embargo ha anche provocato in Russia un vero boom nella produzione locale di prodotti Made in Italy taroccati, con il paese che sta rispondendo alla crescente domanda di prodotti agroalimentari italiani con un potenziamento dell’industria alimentare locale, mentre molti Paesi che non sono stati colpiti dal blocco come la Svizzera, la Biolorussia, l’Argentina o il Brasile hanno aumentato le esportazioni dei cibi italiani fasulli.
“Ancora una volta il settore agroalimentare è divenuto merce di scambio nelle trattative internazionali senza alcuna considerazione del pesante impatto che ciò comporta sul piano economico, occupazionale e ambientale”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “si tratta di un costo insostenibile per l’Italia e l’Unione Europea dopo il voto sulla Brexit con la svalutazione della sterlina che rischia di mettere in crisi anche i rapporti commerciali con la Gran Bretagna che è il quarto sbocco estero dei prodotti agroalimentari Made in Italy”.