La pronuncia napoletana è una delle più difficili da riprodurre. Sembra che solo ai napoletani (e a volte neanche a loro) sia dato di parlare la loro lingua in maniera corretta. A chi non è nato nella città di Pulcinella può sembrare che basti troncare i verbi e spostare l’accento sull’ultima sillaba per parlare un corretto napoletano. In realtà c’è molto di più.
Pronuncia napoletana: le finali
Come simpaticamente illustrato nel film “Benvenuti al Sud” a Napoli non si butta mai niente. Cosa vuol dire? Molte delle parole napoletane sono in realtà parole italiane alle quali è stata sottratta la vocale finale. “Casa” diventa “cas”, “porta” diventa “port”, “cielo” diventa “ciel”. Dove vanno a finire tutte queste vocali tagliate? Negli articoli determinativi: “la casa” diventa “a cas”, “il cielo” diventa “o ciel”. Fin qui tutto semplice ma, ripetiamo, non basta per pronunciare bene il napoletano.
La vocale “e”
Come si pronunciano le vocali quando non sono alla fine della parola? “a”, “i” e “u” si pronunciano sempre allo stesso modo, “e” e “o” subiscono spesso delle variazioni.
Pensiamo alle parole “mezzo” e “mmiezo”. La prima è, italianizzandolo, “il mezzo”, vale a dire il motorino che funge da mezzo, appunto, di trasporto (ricordatevi di togliere la o finale quando la pronunciate). In questo caso la e è aperta. La seconda significa “in mezzo”. L’accostamento con la “i” rende stretta la pronuncia della “e”. Volete riconoscere un napoletano da un improvvisato? Fategli pronunciare questa parola: gli improvvisati non resisteranno alla tentazione di “aprire” la “e”. Quando in vece la “e” è pretonica, appartenente cioè alla sillaba precedente a quella sulla quale cade l’accento, si pronuncia come la scevà, ovvero la vocale centrale.
La vocale “o”
Discorso simile per la “o”. Questa vocale può essere pronunciata, così come in italiano, sia aperta che chiusa. “La mossa”, il celebre stacco di fianchi, in napoletano è “a mossa” dove la o è pronunciata aperta. Anche qui ricordate di eliminare la “a” sostituendola con la scevà. La pronuncia stretta, invece, è sempre accoppiata alla “u”. Per esempio il verbo “portare”, in napoletano si traduce “purtà”, per cui “portami” si traduce con “puortame”. Anche questa parola può essere un banco di prova. Se volete essere impeccabili, pronunciate la o stretta e la a e la e come scevà.
La consonante “s”
Passiamo ora considerare la pronuncia di una consonante, la “s”. La lingua napoletana è nota per la pronuncia della “s” come “sc” ma anche in questo caso ci sono delle regole. Prima di tutto, com’è ampiamento noto, è la “s impura” a trasformarsi in “sc”. La “s”, però, diventa “sc” solo davanti ad alcune altre consonanti.
La prima e più naturale è la “c”: parole come “scarola”, “scusa”, “scassato”, sono emblematiche di questo “slittamento” se così vogliamo chiamarlo. La seconda è la “b”: provate a pronunciare il verbo sbagliare in napoletano: “sbaglià”. Poi c’è la “f” e in questo caso non possiamo non citare un verbo tipicamente napoletano, sfasteriarsi, che significa scocciarsi. Continuiamo con la “m” la “mano smerza” (la mano sinistra) è un’altra tipica espressione napoletana; con la “p” “spandere i panni” (stendere i panni) e terminiamo con la “v”.
Le altre consonanti sono off limit per questa trasformazione. Non c’è niente di peggio che sentire la parola “strunz” pronunciata “sctrunz”…
In copertina foto di Orna Wachman da Pixabay