Nel nostro paese su 57 mila aspiranti avvocati soltanto il 30% riesce a superare l’esame per accedere al titolo di avvocato. Motivo? Una prassi ostica e complessa che genera sempre più Abogados (spagnoli) e Avocat (rumeni) solo di nome ma di fatto avvocati Italiani.
In Spagna non è necessario sostenere un esame per poter accedere alla professione: una volta laureati, basta integrare alcuni esami presso l’università spagnola e poi, dopo aver fatto tradurre la documentazione di titoli posseduti in spagnolo, ci si può iscrivere all’Albo.
Il fenomeno è di certo poco rassicurante, tuttavia, c’è chi pensa che se le leggi e l’intero processo fossero fatti in maniera più snella e tali da facilitare anche i meno facoltosi, i nuovi aspiranti avvocati non sarebbero costretti a far fronte a questa costosa prassi, definita dai più “una scorciatoia”.
I dati rivelati dal Consiglio Nazionale Forense non consolano il mondo forense. Il Consiglio, infatti, ha condotto una battaglia fortissima contro il fenomeno arrivata sino alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee.
Tutto nasce da una Direttiva Europea , recepita dall’Italia nel 2001, che consente agli avvocati “comunitari” di svolgere l’attività forense in uno Stato Europeo diverso da quello in cui si è conseguito il titolo.
L’obiettivo era quello di promuovere la libera circolazione degli avvocati in Europa, tuttavia, di fatto la direttiva è diventata secondo il CNF “lo strumento utilizzato da parte di tanti aspiranti avvocati italiani per eludere la disciplina interna ed, in particolare, per sottrarsi all’esame necessario per poter acquisire la necessaria abilitazione all’esercizio della professione forense in Italia”
Gli avvocati che conseguono il titolo all’estero sono chiamati “stabiliti” nei Paesi ospitanti. Una rilevazione effettuata presso tutti i Consigli dell’ Ordine degli avvocati ha accertato che ben il 92% degli avvocati iscritti nell’elenco degli avvocati stabiliti è di nazionalità italiana. Tra questi l’83% ha conseguito il titolo in Spagna e il 4% in Romania.
La Commissione Europea, si è pronunciata in merito in maniera categorica. Il conseguimento del titolo di avvocato all’estero non configura l’ipotesi di abuso di diritto. Il rifiuto di iscrizione alla sezione speciale dell’albo, prevista per gli avvocati che abbiano conseguito il titolo in altro paese comunitario, comprometterebbe il corretto funzionamento della direttiva UE nonché i suoi obiettivi.
Queste le conclusioni del “procuratore” Ue nelle cause riunite C-58/13 e C-59/13 che contrappone due abogados a un Consiglio dell’Ordine forense delle Marche.
Secondo l’avvocato generale Wahl, affinché si configuri un abuso, si richiede il concorso di circostanze oggettive e di un elemento soggettivo, ossia, la volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento, che in questi casi non è rilevata.
Abbiamo sentito, a tal riguardo, un giurista campano, (P.M.) che ha preferito restare nell’anonimato.
Perché i giovani decidono di abilitarsi alla professione forense in altri Paesi? A mio modo di vedere il problema è l’ iter per l’abilitazione di avvocato che,nel nostro Paese si conclude in circa 8 anni. Fra esami universitari, praticantato e abilitazione all’esercizio della professione forense, il percorso fa sospirare di gioia quei fortunati che diventano avvocati a pieno titolo attorno ai 30 anni. Lo scoglio dell’esame di abilitazione ha fatto aguzzare l’ingegno a tanti giovani delusi che, sempre più insistentemente, strizzano l’occhio all’ipotesi “estera”. In moltissimi sfruttano la possibilità di sostenere l’esame di abilitazione forense oltre confine per poi chiedere l’iscrizione nei nostri albi provinciali. Scelta che semplifica sensibilmente il percorso a fronte di un paio di difficoltà non certo insormontabili: la lingua e il trasferimento per sostenere l’esame.
Cosa ne pensa della pratica in questione e della posizione della Corte di Giustizia Europea? In merito posso dire che sicuramente non è un demerito abilitarsi all’estero, in quanto l’esigenza è dettata dal contesto italiano. Riguardo alla posizione della Corte Europea, sono numerosissimi gli interventi del caso ma occorre evidenziare che la linea assunta della Corte, che ci interessa in particolar modo vista l’efficacia erga omnes delle sue decisioni, si è pronunciata in favore di un orientamento estensivo della definizione di diploma. Secondo questo orientamento l’omologazione è assimilata a tutti gli effetti a quella riportata nella direttiva 89/48 il cui fine è di migliorare e semplificare la libera circolazione dei professionisti nell’Unione Europea, attraverso un reciproco riconoscimento sulla base del sistema generale istituito dalla norma comunitaria. Progetto che viene perseguito anche dall’europarlamento, il quale vorrebbe rivedere e semplificare la normativa per facilitare ancor di più l’esercizio delle professioni anche al di fuori dei confini del proprio territorio di residenza.
Di certo il percorso della libertà di circolazione, che si prefigge l’Unione Europea, è ancora lungo e tortuoso, poichè vi sono diverse problematiche che ostacolano l’applicazione sic et simpliciter delle normative. La ritardata trasposizione delle norme comunitarie in norme nazionali, le difficoltà linguistiche di interscambio e le differenze formative professionali di ogni singolo stato membro rappresentano ostacoli effettivi al raggiungimento dello scopo.
Quali conseguenze può portare il reiterarsi di questa prassi? Di conseguenze future non si può parlare in quanto ad oggi ci sono dei dati statistici che confermano il notevole flusso di aspiranti avvocati che conseguono l’abilitazione all’estero. Si può discutere, piuttosto, di previsione futura, e a parer mio i dati non devono farci sorridere. Si assiste a una vera e propria fuga di cervelli. Detto ciò occorre evidenziare l’altra faccia della medaglia e chiedersi come mai. Secondo me non esiste un problema burocratico o difficoltà equipollenti, il vero neo di tutto ciò risiede nel sistema “viziato” che attanaglia lo Stato italiano, “….scagli la prima pietra chi è senza peccato…” ovvero noi italiani non amiamo affrontare gli ostacoli, combatterli, ma amiamo raggiare gli ostacoli con qualsiasi artefizio e i risultati sono questi,.giovani professionisti, che scappano letteralmente dall’Italia.
Cosa consiglia ai futuri avvocati? Non posso dare consigli in merito, poiché questo presupporrebbe una notevole esperienza in tal senso . Posso solo pronunciarmi sulla base della conoscenza sin qui maturata. Premetto che ritengo la pratica forense la più antica, nonchè nobile arte. In Italia ci sono ancora i migliori giuristi di Europa, resti da esempio l’antica scuola napoletana che ruota intorno alla Federico II . Noi giovani dobbiamo insistere e persistere nonostante il sistema, nonostante la meritocrazia assente, l’umiltà ed il lavoro serio e costante alla fine pagano sempre.