La privatizzazione di Poste Italiane e Ferrovie dello Stato torna al vaglio del governo. A dichiararlo è stata la stessa premier Giorgia Meloni nell’ambito della conferenza stampa di inizio anno. Una scelta che si impone per motivi economici in un quadro di crescita sempre più lenta e che riprende la grande stagione delle privatizzazioni iniziata negli anni Novanta.
Privatizzazione Poste Italiane e Ferrovie per evitare ulteriori tassazioni
Per capire il senso delle privatizzazioni annunciate, bisogna allungare lo sguardo sul futuro. Lo scenario economico previsto per il 2025 è alquanto incerto. Le stime del NADEF (Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza) sono state, infatti, più volte riviste al ribasso. L’ultima manovra approvata, poi, ha fatto dell’extra deficit il suo punto di forza. La manovra da 20 miliardi, infatti, sarà coperta fino a 12 miliardi con l’indebitamento. Dal prossimo anno non si potrà seguire lo stesso principio.
La premier Meloni, in sede di conferenza stampa di inizio anno, ha prospettato due soluzioni alternative per il prosieguo: il taglio delle spese o l’aumento delle tasse. La prima ipotesi è la strada che si vuole seguire attraverso, come illustrato dalla stessa Meloni, una riduzione della presenza dello Stato dove non è necessaria. Le due realtà a cui si è pensato sono Poste Italiane e Ferrovie dello Stato.
Il piano di privatizzazione
Attualmente lo Stato detiene, attraverso il Ministero dell’Economia e Cassa Depositi e Prestiti, il 65% delle quote di Poste Italiane e il 100% delle quote di Trenitalia. Il piano del governo prevederebbe la cessione di una quota inferiore al 30% di Poste Italiane e una non superiore al 49% di Ferrovie dello Stato. Percentuali che gli consentirebbero di no perdere il controllo sui due enti. Secondo le stime degli analisti, l’operazione dovrebbe portare un introito per le casse dello Stato tra i 4,7 e i 6,7 miliardi di euro.
Continua l’era delle privatizzazioni
La privatizzazione di Poste Italiane è iniziata nel 2015. Oltre vent’anni dopo l’inizio della stagione delle privatizzazioni che avevano coinvolto le maggiori aziende statali. L’offerta da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, di azioni corrispondenti a poco meno del 40% del capitale sociale fu rivolta a risparmiatori italiani, dipendenti del Gruppo Poste Italiane, investitori italiani e internazionali. Il piano seguiva il modello di privatizzazione definito dal DPCM del 16 maggio 2014. Era volto ad assicurare la stabilità dell’assetto azionario, tutelare un servizio di pubblica utilità e sostenere piani di sviluppo e innovazione dell’azienda attraverso la presenza di un azionariato diffuso.
Strada diversa seguita per Ferrovie dello Stato. Nel 1992 la società fu quotata in borsa con il nome di “Ferrovie dello Stato – Società di Trasporti e Servizi per azioni”. Nel 2000, in risposta alle direttive europee che imponevano lo scorporo del settore gestione viaggi dal settore infrastrutture, nacquero due società: Trenitalia Spa e Rete Ferroviaria Italiana Spa. La prima si sarebbe occupata del trasporto merci e passeggeri, la seconda della gestione della rete ferroviaria. La società ferroviaria divenne così una holding che controllava una serie di società più piccole. Nel 2015 si avviò il processo di privatizzazione di Ferrovie dello Stato che non fu mai completato.