È dal 2018 che ogni anno, il primo giugno, mi ostino, grazie all’incoraggiamento dell’amica Lia Aurioso, a ripubblicare questi versi, ai quali in verità tengo molto sia per ragioni personali che per motivi più schiettamente politici. So che sono stati letti da molti, e in verità hanno anche ricevuto un riconoscimento (una menzione di merito, con motivazione scritta sulla targa e lettura pubblica, al Premio Letizia Isaia nell’ottobre 2023), ma non mi stanco di riproporli, anche perché continuo a ritenere di stringente attualità il messaggio che in essi ho cercato di lanciare.
È il primo giugno. Immagine mia madre
che stasera, quasi ottant’anni fa,
non dormiva pensando che domani
avrebbe agito per la libertà.
Fu un sacerdote a dissuaderla: meglio,
diceva, rimanere in monarchia
che rischiare i cannibali al governo:
i comunisti sono sulla via.
Vinta ma non convinta, quando perse
la monarchia fu contenta mia madre.
Solamente, ogni anno si chiedeva
perché il due giugno per tutte le strade
sfilavano l’esercito e i soldati
per festeggiare la Costituzione,
quando le donne dissero la loro,
votarono la riconciliazione,
di tuonare finirono i cannoni
e il fascismo oramai era finito.
Se la pace l’aveva data al voto
perché poi non sfilavano matite?
La poesia è pubblicata ora nella mia raccolta “Ho poco tempo ancora”, editore La Valle del Tempo, prefazione di Antonio Spagnuolo.
Foto di copertina generata con Copilot per Cinque Colonne Magazine