Negli ultimi dieci anni il numero dei minori che vivono in povertà assoluta, senza i beni indispensabili per condurre una vita accettabile, è più che triplicato, passando dal 3,7% del 2008 al 12.5% del 2018. Oggi sono oltre 1,2 milioni. Un record negativo che ha visto un netto peggioramento negli anni più duri della crisi economica, tra il 2011 e il 2014, in cui il tasso di minori in condizioni di povertà è passato dal 5 al 10%, trasformando un fenomeno circoscritto in una vera e propria emergenza. Solo nel 2018, ben 453.000 bambini di età inferiore ai 15 anni hanno dovuto beneficiare di pacchi alimentari. La povertà dei minori si riflette anche sulle difficili condizioni abitative in cui molti di loro sono costretti: in un paese in cui circa 2 milioni di appartamenti rimangono sfitti e inutilizzati, negli anni della crisi il 14% dei minori ha patito condizioni di grave disagio abitativo.
L’Italia continua a non avere un Piano strategico per l’infanzia e l’adolescenza, investe risorse insufficienti in spesa sociale, alimentando gli squilibri esistenti nell’accesso ai servizi e alle prestazioni, condannando proprio i bambini e le famiglie più in difficoltà ad affrontare da sole, o quasi, gli effetti della crisi.
Minori in povertà educativa
La povertà economica è spesso correlata alla povertà educativa, due fenomeni che si alimentano reciprocamente e si trasmettono di generazione in generazione. Nel nostro paese 1 giovane su 7 ha abbandonato precocemente gli studi, quasi la metà dei bambini e adolescenti non ha letto un libro extrascolastico in un anno, circa 1 su 5 non fa sport.
Per contro, anche la scuola è stata in questi anni colpita pesantemente dai tagli alle risorse, spesso “lineari”, che hanno penalizzato le aree già in difficoltà. Sebbene nell’ultimo decennio si siano fatti grandi passi in avanti sul tema della dispersione scolastica, abbattendo di -5,1% la media nazionale dei cosiddetti “Early school leavers”, le differenze tra regioni sono drammatiche.
Il dato complessivo del Paese nel 2018, che si attesta al 14,5%, fa registrare per il secondo anno consecutivo un pericoloso trend di ripresa del fenomeno della dispersione scolastica. In un paese fragile dal punto di vista sismico e idrogeologico, quasi il 79% delle scuole censite nelle aree a medio-alta pericolosità sismica non hanno una progettazione antisismica e il 53,9% delle scuole italiane (tra quelle che hanno compilato il dato) non ha il certificato di agibilità e quasi un terzo non ha un collaudo statico.
Questi alcuni tra i dati messi in luce dal X Atlante dell’infanzia a rischio di Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro, La pubblicazione a cura di Giulio Cederna e dal titolo evocativo “Il tempo dei bambini”, fa il bilancio della condizione dei bambini e adolescenti in Italia negli ultimi dieci anni e viene presentata quest’anno contemporaneamente in dieci città italiane (Roma, Milano, Torino, Udine, Ancona, Napoli, Bari, Reggio Calabria, Catania e Sassari) in occasione della nuova edizione della campagna “Illuminiamo il futuro” per il contrasto alla povertà educativa.
“Nell’ultimo decennio insieme alle diseguaglianze intergenerazionali, si sono acuite le diseguaglianze geografiche, sociali, economiche, tra bambini del Sud, del Centro e del Nord, tra bambini delle aree centrali e delle periferie, tra italiani e stranieri, tra figli delle scuole bene e delle classi ghetto. Si sono divaricate le possibilità di accesso al futuro”, spiega Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children. “Un paese “vietato ai minori”, che negli ultimi dieci anni ha perso di vista il suo patrimonio più importante: i bambini. Impoveriti, fuori dall’interesse delle politiche pubbliche, costretti a studiare in scuole non sicure e lontani dalle possibilità degli altri coetanei europei. Ma che non si arrendono, che hanno trovato il coraggio di chiedere a gran voce che vengano rispettati i loro diritti, che gli adulti lascino loro un pianeta pulito e un ambiente di vita dove poter crescere ed esprimersi”. “Chiediamo un forte segnale di inversione di rotta, per affrontare quella che è una vera e propria emergenza. Ci auguriamo – prosegue Valerio Neri – che il Presidente del Consiglio che nel suo discorso di insediamento ha voluto raccogliere l’appello lanciato da Save the Children per garantire ai bambini e alle bambine l’accesso all’asilo nido, nella prossima legge di bilancio sappia dare seguito concreto a quanto annunciato, a partire dalle aree del paese dove maggiormente si concentra la povertà minorile.”
L’organizzazione rilancia oggi la campagna “Illuminiamo il futuro” per il contrasto alla povertà educativa, ormai giunta al suo sesto anno, chiedendo – attraverso una petizione disponibile su http://www.illuminiamoilfuturo.it– il recupero di tanti spazi pubblici oggi abbandonati in stato di degrado da destinare ad attività extrascolastiche gratuite per i bambini e scuole sicure per tutti. La mobilitazione, accompagnata sui social dall’hashtag #italiavietatAiminori, è associata a 16 luoghi simbolici vietati ai minori in Italia, individuati con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui tanti spazi pubblici, da nord a sud, inaccessibili ai minori nel nostro Paese. Una campagna che riprende la richiesta già lanciata lo scorso anno e che ha portato all’inizio di un percorso di recupero di alcuni dei 10 luoghi segnalati nella precedente edizione, a cui quest’anno se ne aggiungono altri sei.
A partire dal 21 ottobre è inoltre prevista una settimana di mobilitazione, con centinaia di eventi e iniziative in tutto il Paese, da nord a sud, realizzate a cura di tante realtà locali, associazioni, scuole, enti e istituzioni culturali che anche quest’anno hanno scelto di essere al fianco di Save the Children per sensibilizzare e informare sul tema del contrasto alla povertà educativa che colpisce bambini e ragazzi e sull’importanza di attivare comunità educanti.
La povertà minorile in Italia
In Italia oltre 1,2 milioni di bambini vivono in condizioni di povertà assoluta, un dato che nel corso degli ultimi 10 anni è triplicato, passando dal 3,7% del 2008 al 12.5% del 2018. Un record negativo tra i Paesi europei che ha visto un peggioramento negli anni più duri della crisi economica, tra il 2011 e il 2014, quando il tasso passa dal 5% al 10%. In termini assoluti i numeri sono ancora più impressionanti: nel 2008 i minori in questa condizione erano circa 375mila, nel 2014 già sfioravano 1.200.000. Oggi sono 1,26 milioni (563mila nel mezzogiorno, 508mila a nord e 192mila al Centro).
Un trend che non cambia nemmeno per quei bambini e adolescenti che sono entrati a far parte della schiera della “povertà relativa”, che nel 2008 erano 1.268.000 e che a dieci anni di distanza sono diventati 2.192.000. Fortissimi i divari territoriali, che emergono soprattutto nell’analisi dell’indicatore della povertà relativa: se in Emilia Romagna e Liguria poco più di un bambino su 10 vive in famiglie con un livello di spesa molto inferiore rispetto alla media nazionale, questa condizione peggiora in regioni del Mezzogiorno come la Campania (37,5%) e la Calabria (43%).
Una povertà che si manifesta nella mancanza di beni essenziali, lo stretto indispensabile per una vita dignitosa: un’alimentazione e un’abitazione adeguata. Sono circa 500.000 i bambini e ragazzi sotto il 15 anni (il 6% della popolazione di riferimento) che crescono in famiglie dove non si consumano regolarmente pasti proteici e 280.000 sono costretti ad un’alimentazione povera sia di proteine che di verdure. Nel 2018, 453.000 bambini di età inferiore ai 15 anni hanno beneficiato di pacchi alimentari. La povertà dei minori si riflette anche sulle difficili condizioni abitative in cui molti di loro sono costretti: in un paese in cui circa 2 milioni di appartamenti rimangono sfitti e inutilizzati, negli anni della crisi il 14% dei minori ha patito condizione di grave disagio abitativo.
Povertà minorile e denatalità
La crisi economica ha avuto un impatto anche sull’aumento della denatalità. Nel 2008, in Italia i minori rappresentavano il 17.1% della popolazione residente, mentre nel 2018 sono ridotti al 16.2%. Un fenomeno che si è sviluppato in maniera non uniforme, ma che si è concentrato in particolare nel sud e nelle isole – che hanno perso 1 minore ogni 10 – e che al centro e al nord è stato meno incisivo per la presenza delle famiglie straniere. In Italia nascono pochi bambini e hanno in media genitori più anziani rispetto al passato: il percorso che consente di diventare genitori è sempre più lungo e complesso, anche in considerazione delle difficoltà per i più giovani di raggiungere l’autonomia necessaria per sostenere un nuovo nucleo familiare.
Una prima conseguenza si è avuta nella flessione delle iscrizioni a scuola nel primo anno delle primarie: per l’a.s. 2019/2020 le domande presentate sono state poco più di 473.000, con una perdita di circa 23.000 bambini rispetto all’anno precedente (-4,6%), mentre il ciclo di scuola secondaria ha registrato una flessione di altri 20.000 studenti.
A compensare solo parzialmente questo fenomeno, la crescita del numero di bambini e ragazzi di origine straniera presenti nel nostro Paese: nel 2008 erano poco più di 700.000 e a dieci anni di distanza sono oltre un milione. Oggi più di un residente minorenne su 10 in Italia ha la cittadinanza straniera. A loro, infatti, una legge obsoleta e tra le più restrittive in Europa, continua a riconoscere la cittadinanza e il pieno riconoscimento dei diritti civili solo al compimento del 18esimo anno di età.
Povertà minorile e spesa sociale per l’infanzia
In un paese impoverito, in cui si fanno sempre meno figli e in cui il tema dell’integrazione dei “nuovi italiani” diventa sempre più urgente, l’Italia continua a non avere un Piano strategico per l’infanzia dotato di adeguati investimenti. L’Italia resta uno dei paesi europei che investe meno nell’infanzia, con divari tra le diverse regioni nel reale accesso ai servizi per i bambini e le loro famiglie. Basti pensare che a fronte di una spesa sociale media annua per l’area famiglia e minori di 172 euro pro capite per interventi da parte dei comuni, la Calabria si attesta sui 26 euro e l’Emilia Romagna a 316. Un divario che penalizza il Sud e in particolare tutte quelle aree che sono state colpite dalla mancata definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEP) previsti dalla riforma del Titolo V della Costituzione. In mancanza di un intervento di riequilibrio da parte dello Stato centrale, i divari territoriali e regionali sono cresciuti, piuttosto che diminuire, nel corso degli anni.
Povertà minorile e scuola
La spending review ha colpito pesantemente anche tutto il sistema dell’istruzione, contribuendo ad alimentare dispersione, fallimento scolastico e nuove povertà di futuro tra i più giovani. Secondo i dati OCSE, l’Italia spende per l’istruzione e l’università circa il 3,6% del Pil, quasi un punto e mezzo in meno rispetto alla media dei paesi OCSE, pari al 5%. In questo caso il tempo perso non si deve alla “semplice inazione” della classe politica, ma va ricercata in un’azione precisa, consapevole e devastante: la cosiddetta “cura dimagrante” dispensata dalla riforma del 2008, che ha scippato alla scuola e all’università ben 8 miliardi di euro in 3 anni, con tagli lineari e solo minimamente compensati con interventi successivi. La spesa per l’istruzione è crollata dal 4,6% del PIL del 2009 al 4,1% del 2011 fino al minimo storico del 3,6% del 2016 (ultimo dato OCSE disponibile). Nello stesso periodo molti paesi europei rispondevano alla crisi in maniera diametralmente opposta, portando gli investimenti nel settore istruzione e ricerca al 5,3% di Pil, per poi scendere al 5% negli anni a seguire.
Il tempo perso sul fronte delle politiche scolastiche si traduce specularmente ogni anno in centinaia di migliaia di bambini persi alla scuola (i cosiddetti Early school leavers), su cui l’Italia – pur avendo fatto significativi passi in avanti – resta indietro, attestandosi attualmente a un 14,5%. Una percentuale indubbiamente migliorata negli ultimi dieci anni (-5,1% dal 2008), che però dal 2017 ha visto di nuovo un leggero aumento dopo un lungo trend positivo. E soprattutto un dato che nasconde forti diseguaglianze a livello territoriale, con regioni che hanno già centrato l’obiettivo europeo (Trento, Umbria, Abruzzo e Friuli Venezia Giulia) e regioni dove il tasso di dispersione supera il tetto del 20% (Calabria, Sicilia e Sardegna).
La mancanza di investimenti sulla scuola si evidenzia anche sulla condizione delle strutture scolastiche: nell’Italia dei terremoti e del dissesto idrogeologico, le scuole sicure sembrano essere un miraggio e nella gran parte sono totalmente impreparate a possibili emergenze. Su un totale di 40.151 edifici censiti dall’anagrafe dell’edilizia scolastica, ben 7.000 sono classificati come “vetusti”, circa 22.000 sono stati costruiti prima degli anni Settanta e delle norme che hanno introdotto l’obbligo di collaudo statico (sono 15.550 quelle che ne sono prive) e un numero ancora maggiore prima del 1974, anno di entrata in vigore delle norme antisismiche. Sono 21.662 gli istituiti che non hanno un certificato di agibilità e 24.000 quelli senza certificato di prevenzione per gli incendi. Nelle aree ad alta e medio-alta pericolosità sismica, sono ben 13.714 gli edifici scolastici che non sono stati progettati per resistere a un terremoto ed è antisismica appena una scuola su cinque.
“E’ indispensabile e urgente rendere ogni scuola un luogo sicuro per i bambini e le bambine che la frequentano quotidianamente. C’è bisogno di una legge nazionale che superi l’attuale frammentazione normativa e garantisca a studenti, personale docente e non docente, spazi scuri e protetti dove apprendere o lavorare senza rischiare la vita”, spiega Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia- Europa di Save the Children. “Allo stesso tempo, chiediamo che gli spazi pubblici abbandonati e in stato di degrado siano riqualificati e destinati ai bambini e agli adolescenti, a partire dalle periferie urbane, perché non solo la scuola ma tutto l’ambiente in cui si vive ha un ruolo fondamentale nella crescita educativa dei più piccoli”.
Povertà educativa: aumentano i “disconnessi culturali” e aumentano gli “iperconnessi” alla Rete
In un paese in cui si è disinvestito sulle politiche sociali e sull’infanzia, la povertà educativa è una piaga in crescita. Basti prendere in considerazione alcuni indicatori: quasi un minore su 2 non legge un libro oltre a quelli scolastici durante l’anno, con profondi divari regionali, che vedono Campania (il 64,1%), Calabria (65,9%) e Sicilia agli ultimi posti (68,7%). E se nel 2008 i “non lettori” erano il 44,7%, questa percentuale è salita dopo dieci anni al 47,3%. Nel suo complesso la deprivazione culturale nei minori, pur leggermente attenuata, resta un tema di allarme: nel corso dell’ultimo decennio la quota dei “disconnessi culturali” è diminuita di 4 punti, ma i minori che non svolgono sufficienti attività culturali restano ancora 7 su 10, con i consueti divari tra le regioni.
Anche lo sport resta per molti un privilegio: in Italia circa un minore su 5 (tra i 6 e i 17 anni) non pratica sport e il 15% svolge solo qualche attività fisica. Alcuni passi in avanti si sono visti su questo fronte negli ultimi dieci anni: se nel 2008 il 21,8% dei minori era “sedentario”, nel 2018 questo dato scende a 17,9%. Come al solito ampi i divari tra le regioni, ma con il Centro e il Sud che migliorano la loro condizione nel decennio.
“Nel corso degli ultimi anni si è registrato – positivamente – l’ingresso del tema della “povertà educativa” nell’agenda della politica, con il varo di un Fondo nazionale di contrasto alla povertà educativa minorile, istituito con la legge di stabilità per il 2016, alimentato dalle Fondazioni di origine bancaria. A questo si aggiunge l’incarico, affidato dal Parlamento all’Istat, di definire i parametri per individuare le aree a più alta povertà educativa del Paese, sulle quali concentrare gli investimenti. Si tratta di passi avanti importanti ma perché possano produrre effettivamente un cambiamento su larga scala è indispensabile che la lotta alla povertà educativa divenga un obiettivo condiviso dai diversi dicasteri – dall’istruzione alle politiche sociali, dalla cultura alle pari opportunità – e da tutti i livelli di governo”, conclude Raffaela Milano.
Bambini e ragazzi che leggono sempre meno, fanno poco sport e che non sono sottoposti a stimoli culturali, sono invece iperconnessi: nell’ultimo decennio si è assistito a una rivoluzione che ha portato all’aumento esponenziale dei minori che usano ogni giorno la Rete. Nel 2008 il 23,3% dei minori non usava quotidianamente Internet, quota che è scesa nel 2018 a solo il 5,3%, con una riduzione del digital divide tra Nord e Sud del paese.
Povertà minorile: ambienti sempre più cementificati
L’impoverimento materiale ed educativo dei bambini in Italia, si accompagna anche ad un impoverimento “ambientale”. Mentre il dibattito mondiale si accende sull’impatto dei cambiamenti climatici sul pianeta, i bambini e adolescenti italiani crescono in un paese in cui c’è sempre meno verde, con un aumento di 30.000 ettari di territorio cementificato dal 2012 al 2018. Il 37% di dei minori si concentra in 14 grandi aree metropolitane, in ambienti non propriamente a misura di bambino, e in 1 città su 10 non si raggiunge la dotazione minima di verde pubblico di 9 metri quadri per abitante prevista dalla legge. Il fatto che ben il 44% dei bambini ed adolescenti italiani vada a scuola in macchina non stupisce, soprattutto se si considera che il rapporto tra ogni neonato che nasce in Italia e le macchine immatricolate nello stesso anno è di 1 a 4.
“In un paese che ha disinvestito sul suo capitale umano più prezioso, quello dei bambini e degli adolescenti, sono proprio i più giovani a chiedere a gran voce agli adulti di restituire loro il futuro” spiega Raffaela Milano. “C’è un nesso che lega movimenti globali come Fridays for Future e le migliaia di gruppi di ragazze e ragazzi – tra questi, anche i ragazzi del movimento Sottosopra per Save the Children – che ogni giorno si impegnano per migliorare la qualità del loro ambiente di vita. E’ una domanda volta a trasformare radicalmente l’attuale modello di sviluppo, restituendo ai più piccoli un pianeta sano e spazi per crescere e sviluppare le proprie potenzialità e il proprio futuro. Un pianeta che non sia più “vietato ai minori”, ma che li renda protagonisti di un cambiamento, sia a livello politico che culturale”.
La campagna di Save the Children e la petizione contro i luoghi “vietati ai minori”
Anche per questo Save the Children – in occasione della sua campagna “Illuminiamo il futuro” – ha voluto rilanciare una petizione per recuperare spazi abbandonati e restituirli a bambini e ragazzi affinché possano essere destinati ad attività dedicate a loro e scuole sicure. Una campagna e una petizione sulla scia di quella già lanciata lo scorso anno, in cui l’Organizzazione aveva scelto 10 luoghi simbolici da restituire ai minori e che quest’anno ne aggiunge di nuovi, portandoli a 16.
Tra i luoghi già segnalati lo scorso anno l’ex scuola elementare di Via Cabella a Milano, nel quartiere Baggio, che ormai da 20 anni versa in stato di completo abbandono e che sarà presto destinata a diventare un supermercato; il Teatro Principessa Isabella, nel quartiere Lucento/Vallette di Torino, che rappresentava uno dei luoghi più vivi della periferia e un punto di riferimento per l’intera comunità, chiuso dal 2016 ma su cui – anche in seguito alla campagna di Save the Children dello scorso anno – sono stati stanziati da regione e comune i fondi per la rimessa a norma.
E, ancora, il parco nel quartiere Villaggio Falcone, nella zona di Ponte di Nona a Roma, inghiottito dall’erba alta e dal degrado, con i giochi per bambini distrutti e ormai ridotto a discarica a cielo aperto, che non ha ancora visto passi in avanti; la palestra nel quartiere Arghillà, a Reggio Calabria, completata da diversi anni ma mai stata consegnata e utilizzata, in un’area caratterizzata da grave disagio sociale ed economico dove i minori del posto non hanno un luogo dove fare sport, in condizioni ancora peggiori dello scorso anno; il parco San Gennaro nel rione Sanità di Napoli, con la sua vastissima area verde, un campo di calcetto e un’area per il pattinaggio, inutilizzato da anni per i continui atti di vandalismo, che attualmente è chiuso per le condizioni di pericolo in cui versa, ma su cui da qualche mese è stato previsto uno stanziamento i fondi da parte del Comune per il recupero; o l’asilo nido comunale “Galante” nel quartiere Danisinni, una zona fortemente degradata nella periferia di Palermo, che dopo essere stato chiuso per lavori più di 10 anni fa non ha ancora rivisto la luce, ma che negli ultimi tempi, anche grazie all’impegno della comunità del quartiere, sta vedendo dei passi in avanti verso la riapertura al territorio.
Si aggiungono a questi nuovi luoghi, anch’essi “vietati ai minori”, come la ex colonia di Montesilvano, in Abruzzo, simbolo di tutti quegli spazi che un tempo erano stati dedicati ai bambini e che ora sono stati abbandonati o riconvertiti ad attività turistiche di lusso o Villa Beer, ad Ancona, che prima dell’ultimo sisma nel centro Italia ospitava una biblioteca e una ludoteca per bambini e che, in seguito ai danni provocati dal terremoto, non è più stata riaperta, fino all’Istituto scolastico Salvemini nel rione Barra di Napoli, ormai uno scheletro abbandonato in un territorio già fortemente deprivato di strutture scolastiche e spazi dedicati ai bambini.
Spazi fisici, concreti e visibili, a cui lo scorso anno si erano aggiunti due luoghi particolarmente emblematici delle deprivazioni ai danni di bambini e adolescenti nel nostro Paese: L’Aquila, la città simbolo vietata ai minori – ma anche agli adulti – che a dieci anni dal terremoto vede ancora i bambini e i ragazzi privati della possibilità di tornare a studiare nelle loro scuole e degli spazi educativi e ricreativi di cui hanno bisogno; e il Parlamento, il luogo dove troppo spesso i diritti dei minori vengono ignorati e la loro voce resta inascoltata. In aggiunta a questi luoghi simbolici – nell’edizione 2019 della campagna – l’Organizzazione ha inserito il tristemente noto “boschetto di Rogoredo”, a Milano, passato alle cronache per essere luogo in cui tanti ragazzi – spesso anche minori – vanno a cercare eroina, come emblema dei tanti luoghi abbandonati delle città che sono frequentati da adolescenti vittime di dipendenze e facili prede di sfruttatori.
Gli interventi di Save the Children per contrastare la povertà educativa
Dall’avvio della campagna Illuminiamo il futuro, nel maggio 2014, Save the Children ha attivato su tutto il territorio nazionale 24 Punti Luce, spazi ad alta densità educativa, che sorgono nei quartieri e nelle periferie maggiormente svantaggiate delle città, per offrire opportunità formative ed educative gratuite a bambini e ragazzi tra i 6 e i 17 anni. Attualmente la rete dei Punti Luce di Save the Children copre 19 comuni e 14 regioni: Ancona, Bari, Brindisi, Casal di Principe, Catania, Genova, L’Aquila, Milano (2), Napoli (3), Palermo (2), Potenza, Prato, Roma (2), San Luca, Sassari, Scalea, Torino, Udine e Venezia.
Dal 2014, quasi 23.000 bambini e ragazzi hanno finora usufruito delle diverse attività nei Punti Luce, tra cui sostegno allo studio, laboratori artistici e musicali, promozione della lettura, accesso alle nuove tecnologie, gioco e attività motorie. Negli spazi si offrono inoltre consulenze legali, psicologiche, pediatriche e di supporto alla genitorialità ai genitori o alle figure adulte di riferimento dei bambini, con oltre 5.000 genitori coinvolti dall’inizio del 2019.
Dall’inizio della campagna sono state infine assegnate quasi 2.000 doti educative, ovvero piani formativi personalizzati per bambini e adolescenti che vivono in condizioni certificate di disagio economico, che prevedono, tra gli altri, un contributo economico per l’acquisto di libri e kit scolastici, l’iscrizione a un corso sportivo o musicale, la partecipazione a un campo estivo e altre attività educative alle quali i minori si mostrano particolarmente inclini.
Negli Spazi Mamme, presenti nelle città di Casal di Principe, San Luca, Milano, Bari, Brindisi, Genova, Catania, Napoli, Palermo, Roma, Sassari e Torino, i genitori vengono accompagnati durante le tappe più importanti della crescita dei propri figli e viene promossa l’inclusione dei bambini tra 0 e 6 anni che vivono una situazione di marginalità, permettendo loro di avere a disposizione gli strumenti adeguati per ogni fase della loro crescita. Si promuovono inoltre percorsi di sostegno personalizzati che vedano coinvolti le famiglie, le comunità e i servizi territoriali.
Nell’ambito della campagna Illuminiamo il futuro, inoltre, Save the Children è capofila del progetto Futuro Prossimo per la costruzione di una comunità educante a Marghera, Sassari e nel quartiere Chiaiano di Napoli, un progetto selezionato dall’Impresa Sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile. Partecipano infine attivamente alla campagna Fuoriclasse, il programma di Save the Children per contrastare e prevenire il fenomeno della dispersione scolastica, con la Rete Fuoriclasse in Movimento che coinvolge direttamente più di 170 scuole in tutta Italia, e SottoSopra, il Movimento Giovani per Save the Children che coinvolge ragazze e ragazzi in tutta Italia in azioni di sensibilizzazione e cittadinanza attiva sui diritti.