La povertà in Italia fa rima con insicurezza crescente. A dirlo è il Rapporto Italia, arrivato alla 36ma edizione, redatto da Eurispes. Parlare di povertà significa fare un discorso più ampio che abbraccia istruzione e lavoro. Oggi parliamo, infatti, di povertà economica (considerata nelle sue declinazioni assoluta e relativa), povertà lavorativa e povertà educativa. In tutti gli ambiti il nostro Paese si colloca a livelli superiori rispetto sia all’Unione europea sia alla zona OCSE.
Il lavoro in Europa
La povertà lavorativa è un fenomeno cresciuto sempre più velocemente in Italia negli ultimi anni. E’ la risultante dell’incrocio tra la precarietà del lavoro e aumento dei prezzi al consumo. Una condizione che il nostro Paese condivide con l’Unione europea e la zona OCSE. Nonostante i livelli di occupazione si siano alzati, si moltiplicano i contratti saltuari e precari. Secondo i dati OCSE, tra il 2000 e il 2020, le retribuzioni medie annue a prezzi costanti sono aumentate del 179% in Germania, del 175% in Francia, del 153,3% in Lussemburgo, del 123% nei Paesi Bassi. Di contro in Italia le retribuzioni sono diminuite del 3,6%; destino condiviso con Spagna, dove sono diminuite dell’1,1% e in Grecia dove la contrazione è stata dello 0,2%.
Il lavoro in Italia
Nel nostro Paese, tra il 2000 e il 2022, i lavoratori dipendenti con contratti a tempo indeterminato e autonomi con dipendenti sono scesi dal 65% al 59,9%. I contratti a termine e le occupazioni saltuarie sono diventate sempre più diffuse e il numero dei lavoratori dipendenti a temine è passato da 1,5 milioni del 1990 a oltre 3 milioni nel 2022. La metà di questi ha contratti inferiori a sei mesi.
In questo periodo la situazione è peggiorata in modo particolare in due periodi, dopo le crisi economiche del 2008 e del 2011 e dopo il Covid. Le crisi economiche hanno portato alla diffusione dei cosiddetti contratti pirata, vale a dire accordi stipulati da organizzazioni sindacali e datoriali non rappresentative, che hanno promosso retribuzioni più basse rispetto a quelle previste dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro. Dopo la pandemia il galoppare dell’inflazione in risposta al rialzo dei costi energetici ha fatto il resto. Nel 2022, il 12% dei lavoratori italiani erano working poor, ovvero lavoratori con un guadagno inferiore agli 11.500 euro netti all’anno. La percentuale supera di circa quattro punti Francia e Germania e di due la media Ue. I lavoratori appartenenti a questa categoria sono per lo più stranieri, hanno bassi livelli di istruzione e hanno famiglie con uno o più minori.
Nonostante alla fine del 2023 l’Italia abbia registrato un tasso di occupazione record al 61,9% con 23,7 milioni di occupati, la qualità del lavoro lascia ancora a desiderare. Delle nuove assunzioni del 2023, infatti, solo il 16,5% è stata rappresentata da contratti a tempo indeterminato. Il 44,3% dei contratti è stato a tempo determinato, il 14% stagionale e il 12% in somministrazione.
Povertà in Italia: i numeri
L’Istat ci dice che nel 2022 più di 5,6 milioni di persone (2,18 milioni di famiglie e 9,7% della popolazione) vivevano in povertà assoluta. Nel 2021 era il 9,1% della popolazione a vivere questa condizione. Tale aumento è figlio anche dell’inflazione che ha ridotto il potere d’acquisto.
Quanto alla povertà educativa, questa si misura non solo con il livello di scolarizzazione ma anche con il livello di competenze quali lettura, comprensione, scrittura, calcolo e problem solving. Nel 2022, in Italia, il 41,7% della popolazione tra i 25 e i 74 anni era in possesso di un titolo di studio inferiore al diploma e il 18,5% della laurea.
Dall’indagine PIAAC del 2019, era emerso che il 69,7% degli adulti italiani superava l’ultimo e il
penultimo livello di competenze di lettura e comprensione sui cinque previsti. La media Ocse era del 54%. Il 70% della popolazione ha competenze matematiche al di sotto della soglia minima. Circa il 27% non sa svolgere le più elementari operazioni al computer e di processare semplici informazioni in maniera logico-computazionale. Il 21,4%, infine, non supera il livello minimo in Lettura e comprensione dei testi. Anche questo dato è inferiore alla media europea (28%) e Ocse (26%).