“Non dobbiamo parlare di muri che crollano ma di intere ‘insulae’ a rischio crollo”
“Non vogliamo fare alcun allarmismo. Quello che lanciamo è un vero e proprio allarme per l’area archeologica di Pompei che, dai dati in nostro possesso, è compromessa all’80%”. Così l’architetto Antonio Irlando, responsabile dell’Osservatorio Patrimonio Culturale. Lungi dal voler addebitare responsabilità e colpe specifiche, Irlando spiega che, allo stato attuale, “sono a rischio intere ‘insulae’ (un gruppo di case delimitato da quattro strade viene definito con il termine latino ‘insula’, attuale ‘isolato’, ndr). La pioggia di questi giorni ha solo amplificato anni di politica di conservazione inesistente che hanno riguardato sia la gestione ordinaria della Soprintendenza sia quella commissariale”. Una trascuratezza, in sostanza, che va imputata a tutti i governi ed alle istituzioni competenti; uno status che l’Osservatorio Patrimonio Culturale si impegna a mettere in luce per far fronte alle reali criticità del sito archelogico che vanta l’area visitabile più grande del mondo. Il quadro tratteggiato da Irlando, che ha visitato gli scavi e l’area interessata dal crolli, è sconfortante: “Non dobbiamo parlare di muri che crollano ma di intere ‘insulae’ a rischio crollo. Questo per un motivo semplicissimo. La malta che tiene insieme le pietre un po’ alla volta si deteriora. Basterebbe di volta in volta utilizzarne altra e rimettere a posto la singola pietra caduta. Ma se si lascia cadere una pietra oggi, un’altra domani… inevitabile che si arrivi ai crolli”. La questione, insomma, riguarda la manutenzione ordinaria di un sito vecchio di 2000 anni e si concentra in particolare nelle aree chiuse al pubblico. “Uno dei muri crollati questa mattina, quello del ‘piccolo lupanare’ – sottolinea Irlando – si trova all’interno della nona Regio, una zona completamente abbandonata dal terremoto del 1980, chiusa al pubblico tranne che per l’area delle terme centrali”. Se si calcola che gli Scavi di Pompei si estendono su un’area di 65 ettari e sono suddivisi in Nove Regioni, ciascuna composta in media da una quindicina di ‘insulae’, si capisce che il problema va davvero risolto curando una pietra dopo l’altra.