La politica energetica del governo così come si è delineata nel recente decreto Sblocca Italia è davvero proiettata verso un futuro più pulito o siamo ancora legati alla politica sovranazionale dell’Ue che detta strategie e alleanze economiche? All’indomani della Leopolda e dell’ok della Camera al suddetto decreto legge, sono molti i dubbi e le perplessità che circondano il tema energetico. È emerso che definire una valida strategia energetica nazionale non può prescindere da un’analisi multiprospettica che guardi al fenomeno dal punto di vista scientifico, economico, sociale, ambientale e culturale.
L’Italia, è risaputo, non ha carbone, ha pochissimo petrolio e gas, non ha uranio, ma ha tanto sole e potrebbe sfruttarne l’immensa potenzialità mediante la sua avanzata industria manifatturiera, creando occupazione e benefici ambientali non di poco conto. Eppure la strada percorsa dall’attuale governo sembra andare in direzione opposta: il recente decreto Sblocca Italia agli articoli 36-38 sembra facilitare e addirittura incoraggiare le attività di estrazione delle poche riserve di petrolio (che non bastano certo a darci energia duratura) e gas (non diventeremo certo indipendenti da Putin) in aree densamente popolate come l’Emilia-Romagna, in altre di grande importanza storica, artistica e culturale come Venezia e Ravenna, senza risparmiare l’Adriatico, le regioni del centro-sud e gran parte della Sicilia. In estrema sintesi il decreto attribuisce “carattere strategico alle concessioni di ricerca e sfruttamento di idrocarburi”, rendendo burocraticamente più semplice le operazioni suddette (come le trivellazioni), prorogando concessioni e privando le regioni di ogni potere in merito. Ciò che spaventa è non solo l’impatto ambientale ma anche le ripercussioni che potrebbero esserci su un settore vitale per la nostra economia come il turismo.
Un team di ricercatori e scienziati italiani ha di recente indirizzato al nostro premier un serie di consigli per uscire dall’attuale empasse. In primis c’è il risparmio energetico: ridurre il consumo di energia potrebbe equilibrare la mancanza di idrocarburi del Bel Paese ed essere un valido esempio verso la strada dell’ecosostenibilità. Secondo punto è quello dei combustibili fossili: perché investire, si chiedono i luminari, in un settore che è ormai tramontato (anche perché sono esaurite le risorse) e assecondare la nostra dipendenza da altre Nazioni? Attualmente siamo importatori di combustibili per il 90%. Si potrebbe indirizzare lo sforzo del governo in altre direzioni: maggiore manutenzione delle autostrade, illuminazione intelligente, riqualificazione energetica degli edifici sono solo alcuni delle molteplici possibilità che abbiamo per migliorare.Qui interviene anzi dovrebbe intervenire la politica a diffondere e promuovere le fonti alternative, investendo massicciamente nella green economy. In particolare si dovrebbe demolire il falso tabù che vede le energie rinnovabili come una fonte marginale di energia. Non è così: tali forme di energia oggi producono ben il 22% dell’energia elettrica su scala mondiale e il 40% in Italia.
Il Pacchetto Clima ha previsto entro il 2030 una riduzione obbligatoria delle emissioni di CO2 del 40% rispetto ai livelli del 1999 in tutti i Paesi dell’Ue e ha programmato di portare al 27% sia la quota di energia da fonti rinnovabili sulla produzione totale che il target per l’incremento dell’efficienza energetica a livello europeo. Tuttavia si è deciso (e l’italia che presiedeva il vertice ne è perciò responsabile)di rendere vincolante a livello nazionale solo l’obiettivo per la riduzione delle emissioni mentre rinnovabili ed efficienza energetica restano obbligatori solo a livello comunitario. Wwf Italia ha parlato di “risultato debole” e di target “completamente inadeguati”.