Il poeta che andiamo ad intervistare è Vera D’Atri, nata a Roma nel marzo del 1948 ma vive a Napoli dal 1992. Ha conseguito il diploma di archivista all’archivio di Stato di Napoli. Ha pubblicato: Abitare Sparta (1997 – menzione di merito al premio Lorenzo Montano); Il museo di vaniglia (Edizioni della Biblioteca); Una data segnata per partire (Kolibris, 2009); Tutte donne (Edizioni d’If 2012-2013); “Una tenace invadenza (Libro Aperto Edizioni, 2013); Il fortino (Terra d’ulivi ed., 2016 – Premio “L’iguana” – Omaggio ad Anna Maria Ortese, Castello di Prata Sannita). All’attivo anche alcuni racconti pubblicati in antologie e su riviste e un romanzo, Buona bella brava, edito dalla Robin Edizioni nel 2010. Suoi testi poetici compaiono su riviste, inserti culturali e numerosi blog. È presente inoltre, nelle antologie La giusta collera (CFR); Alter ego – Poeti al MANN; Contatti diversi; I quaderni di Movimento Aperto; Scrittura sottovoce; Voci dell’aria.
Come ti sei avvicinata alla poesia?
Un pomeriggio mi sono seduta. In silenzio. Qualcosa si è sciolto dentro di me. Senza premeditazione ho scritto dei versi su mia madre, versi imprevisti, quasi un tumulto, un nugolo di rimpianti. Da quel momento non sono più riuscita a smettere.
Che considerazione hai della ricerca poetica, della sperimentazione di nuove forme poetiche?
Come ogni cosa che si evolve anche la poesia cerca nuove forme. Così ogni tentativo, ogni ricerca divengono un contributo all’espressività del linguaggio. Così le nuove forme poetiche dilatano la nostra capacità descrittiva, sono direzioni, inversioni delle quali far uso non solo per rendersi originali, ma per sondare i meccanismi dell’interconnessione umana.
C’è stato qualcuno che devi ringraziare per averti dato, che so, dei consigli di come muoverti nel tuo percorso artistico?
Di sicuro devo ringraziare Rossella Tempesta, che da subito si è interessata ai miei testi ed ha reso possibile i miei primi passi in poesia grazie ai suoi consigli e alla sua sincera approvazione. A lei devo la prefazione del mio primo libro e l’incoraggiamento a leggere in pubblico, ma non è la sola. Molti amici, poeti e non, mi hanno sostenuto e seguito con pazienza.
Cosa cerchi nella poesia e quali sono gli argomenti alla base?
La poesia è un amo al quale far abboccare l’invisibile. Quello che mi interessa poter esibire quando scrivo è la percezione delle cose taciute, delle apparenze negate.
Qual è il volume, tra quelli che hai pubblicato, cui tieni di più. Ce ne puoi parlare brevemente?
Ho pubblicato poco, per scelta. Ma dei tre volumetti forse è il primo, “Una data segnata per partire”, che oltre all’emozione che ne ho ricevuto al momento di maneggiarlo, resta il preferito. E poi è trascorso più tempo dalla pubblicazione degli altri ed ora rileggendolo mi fa un piacevole effetto.
In letteratura si può incontrare l’amicizia, cioè fidarsi dei “colleghi” o il poeta lo scrittore sono destinati ad affrontare le problematiche in perenne solitudine?
Fidarsi o non fidarsi dei colleghi? Credo che per ognuno sia differente. Per quello che mi riguarda seguo un po’ l’inclinazione del mio carattere e quindi mi apparto molto volentieri, cercando una mi risposta alle problematiche della scrittura pur leggendo i maestri e quanti come me percorrono la stessa via.
Oggi il compito della poesia sembra un’autocelebrazione. Sembra che i poeti non abbiano più nemici da contrastare. Troppi poeti della domenica, o sempre le stesse facce (poche) alle presentazioni di libri o letture poetiche. Insomma: sembra esplosa in piccoli clan, e non sempre collegati tra loro, neanche nella stessa città. Qual è la tua opinione in merito?
Condivido il quadro che tu hai fatto nel pormi questa domanda. Quale opinione ho in merito alle cerchie di poeti, alla presentazioni vicendevoli, all’autocelebrazione delle proprie opere. Il mio sguardo, il mio campo d’azione sono molto limitati. Non so se altrove la poesia abbia più spazi, più consapevolezza da parte dei lettori. In merito a questa questione non mi è possibile accusare questo o quello. Tutti ci adoperiamo a scrivere per piacere personale, per placare il nostro demone e fors’anche per contribuire culturalmente alle vicende di questo paese, cercando di escludere improvvisazione, approssimazione e tutti quei difetti di cui sopra e in più nel far questo, soffrendo di scarsa considerazione. Di contro la realtà è conseguenza di narcisismo, un inseguimento che non offre opportunità di estraniamento. Nonostante questo una parte dei bravi poeti che esistono riesce ad emergere ed è l’accanimento al proprio lavoro che può salvare da inutili teatrini e giostre uniformanti.
Sembra che oggi la poesia non venga presa con la dovuta serietà, finendo di essere, in diversi casi, un “passatempo”. Tu quanto prendi sul serio la poesia?
Non definirei la poesia un passatempo. Alla poesia sono arrivata tardi ma adesso giudico passatempo tutto il resto.
Si sa che molti premi letterari, direi il 90%, sono costruiti ad personam, per amici e con una tassa di lettura per leggere qualche testo. Hai mai partecipato ad uno di essi e che opinione ti sei fatto, quale beneficio ha arrecato alla tua poesia?
Si contano sulle dita di una mano i concorsi ai quali ho partecipato. Non credo arrechino beneficio. Ciò che arreca beneficio alla poesia è la lettura.
Oggi, con la crisi dell’editoria, pubblicare un volume non è semplice: le grandi case editrici non ti filano se non sei legato alla politica o a ritorni economici; per di più le piccole (non tutte, per fortuna) ti chiedono contributi economici, spesso esosi. Cosa ne pensi dell’editoria odierna?
Mi metto nei panni degli editori. Su uno o due autori di grido possono guadagnare, ma su tutti gli altri, a volte pur notevoli, non ricavano quasi nulla. La questione è vecchia e risaputa e di non facile soluzione. In alcuni casi l’editoria viene sommersa da proposte mediocri, in altri è sorda alla qualità, in altre va cercando il personaggio del momento. Grandi e piccoli editori scelgono attuano le loro linee editoriali, dovendo pensare al lato economico della faccenda e magari anche al valore culturale di quanto pubblicheranno ed è sempre l’alternarsi di queste due visioni a rendere molto spesso difficile la scelta.
Hai riscontrato difficoltà editoriali durante il tuo percorso, ti hanno mai chiesto denaro per pubblicare? Puoi farci qualche nome di editori a pagamento che hai incontrato sul tuo percorso?
Ho pagato copie acquistate a prezzo scontato. Non altro. Non ho avuto richieste esose, ma nemmeno regalie.
Che cosa distingue l’uomo dal poeta, se c’è una distinzione?
Volendo siamo tutti poeti, anche chi non lo sa o chi teme di esserlo e per questo si astiene.
È risaputo che al giorno d’oggi si legge molto poco; gli autori, che siano poeti narratori o saggisti, a giusta ragione si lamentano di questa inedia. Hai mai cercato di dare una spiegazione a questo fenomeno?
Si legge poco. Questo è ormai assodato. La rapidità con cui riceviamo notizie di qualunque genere deve averci gettato in un specie di nausea. I lettori si riducono poiché da ogni parte c’è già un nuovo fulcro, una nuova potente attrazione.
Quando ti sei accorta che potevi fare la poeta?
Mi sono accorta di poter essere poeta quando sono stati gli altri a dirlo.
Cosa pensi dei libri digitali? Possono competere con l’editoria tradizionale, cioè con quella cartacea e perché?
Sono anziana e per me il libro digitale non può competere con il cartaceo. L’odore, il tatto, la sottolineatura, sono tutte vecchie abitudini che mi fanno preferire la versione su carta. E poi allineare i libri sulle mensole, ritrovarvi segnalibri opportunamente introdotti nelle pagine da rileggere, far crescere fisicamente muri di libri e sentire attorno a me bisbigliare i volumi assiepati… Lorca, Omero, Dylan Thomas, Whitman, D’Arrigo, Machado… insomma una frotta di insuperabili testimoni dello spirito poetico che alberga negli uomini. Tuttavia mi rendo conto che i libri digitali hanno le loro virtù, non fosse altro che quella di far aprire un libro a chi forse stenta a divenire un lettore.
Qual è il tuo rapporto con la politica, con l’ambiente, con i problemi di tutti i giorni?
Se l’argomento è la politica, l’ambiente o i vari problemi di ogni giorno mi sconforto facilmente. Torna in mente Leopardi ed il suo pessimismo-realismo che non può che, per quel che mi riguarda, essere di attualità.
Trovi difficoltà con l’ambiente letterario in cui vivi e che rapporto hai con i tuoi colleghi campani?
Nessuna difficoltà. Partecipando ai reading a Napoli ed i Campania mi sento comunque ben accolta. Ho colleghi generosi e rispettosi e non posso che ricambiarli offrendo loro quanto di quello che produco reputo migliore.
Quando non ti occupi di poesia, di cosa ti occupi?
Fino a qualche anno fa lavoravo. Ora, avendo più tempo per me, mi occupo di pittura, nel senso che metto su tela quanto mi è impossibile verificare con la scrittura.
Hai una ricetta per far uscire la poesia dallo stato comatoso in cui versa?
Essendo io una delle voci di questa afasia che tu chiami stato comatoso della poesia, ben difficile mi rimane alzare la voce e fare il Majakovskij. Sono i tempi. E la lotta travolge solo i coraggiosi.
In conclusione: quali programmi hai in cantiere?
Programmi? Scrivere, scrivere, scrivere. Possibilmente bene.