Il poeta campano che andiamo ad intervistare è Raffaele Urraro, nato il 1940 a San Giuseppe Vesuviano (NA) dove tuttora vive e opera. Dopo aver insegnato italiano e latino nei Licei, ora si dedica esclusivamente al lavoro letterario. Giornalista pubblicista, collabora come redattore alla rivista di letteratura e arte «Secondo Tempo», ma suoi interventi critici, con saggi e recensioni, sono presenti anche su molte altre riviste. Ha pubblicato raccolte di poesie e opere di saggistica, tra le ultime Giacomo Leopardi: le donne, gli amori (Olschki, 2008); La fabbrica della parola. Studi di poetologia (Manni, 2011); “Questa maledetta vita”. Il “romanzo autobiografico” di Giacomo Leopardi (Olschki, 2015); Le forme della poesia. Saggi critici (La Vita Felice, 2015); Bereshìt. In principio (Marcus, 2017). Ha condotto varie ricerche nel campo della cultura popolare vesuviana; insieme a Giuseppe Casillo ha prodotto varie collane di classici e una storia della letteratura.
Come ti sei avvicinato alla poesia?
La frequentazione della scuola, prima, e l’insegnamento di italiano e latino, dopo, mi hanno, per così dire, trascinato naturalmente tra le braccia della Musa quasi senza accorgermene.
Nel tuo essere poeta cosa metti al primo posto?
La chiarezza dell’espressione poetica. Non parlo di semplicità, parlo di esigenza di ordine strutturale che, per me, è fondamentale. E penso lo sia anche per il lettore.
C’è stato qualcuno che devi ringraziare per averti dato, che so, dei consigli di come muoverti nel tuo percorso artistico?
Assolutamente no. Ho agito sempre e solo obbedendo a mie particolari esigenze sia culturali che artistiche. Insomma sono un cane sciolto, e sono contento di esserlo.
Cosa cerchi nella poesia? Quali sono gli argomenti alla base?
Non cerco qualcosa nella poesia. La poesia è uno strumento per trovare qualcosa, e quindi vero e proprio mezzo di conoscenza. E con la poesia cerco, da sempre, il vero senso delle cose. Voglio dire: del mondo, della vita, dell’uomo, ecc. E questo senso l’ho cercato nella storia, nella mia vita personale, dappertutto, ma soprattutto nell’interrogare le stelle e la luna dalle quali ho preteso risposte che, una volta avutele, ho fatto mie, pervenendo ad una concezione del cosmo come figlio del caso e totalmente abbandonato a se stesso, come lo siamo anche noi. Vuota trascendenza, quindi, e l’uomo gettato su questa terra sola e vagante inutilmente nel cosmo. Ecco perché le domande di senso sono importantissime: dobbiamo cercare un senso della vita e del mondo, se ce l’hanno, ma, se non ce l’hanno, dobbiamo avere la forza di dare noi stessi un senso al segmento di vita che ci tocca vivere in compagnia degli altri, tenendo conto proprio di questo, della necessità della leopardiana “social catena”. È questo il problema fondamentale che affronto nella mia ricerca poetica. Più in particolare: il senso della vita e del mondo, del tempo, della poesia, della parola, ecc. Ricerca per me imprescindibile.
È risaputa la tua passione per Giacomo Leopardi. Ricordo un tuo volume del 2008 per i tipi Olschki, “Giacomo Leopardi. Le donne, gli amori”; e nel 2015, sempre per Olschki, “«Questa maledetta vita». Il «romanzo autobiografico» di Giacomo Leopardi”. Quando ti sei accorto di “amare” Leopardi e perché?
Forse dirò un’ovvietà: amo Leopardi dalle scuole elemetari, da quando il maestro, di cui ricordo ancora il nome, Aniello De Vivo, ci obbligò ad imparare a memoria alcuni idilli che non ho più dimenticato.
A livello di studi e ricerche, la frequentazione del poeta nella mia attività professionale e l’esigenza dell’approfondimento costante della sua personalità hanno aperto la strada al mio desiderio di scoprire sempre di più e meglio il Leopardi. Ed ho scoperto un uomo che, pur nella sua sofferenza, non ha mai smesso di lottare per l’affermazione delle sue idee. Un eroe, un ribelle, non un uomo chiuso nel suo dolore a macerarsi per la vita durissima avuta in sorte. Un grandissimo poeta, sì, ma anche un grandissimo filosofo moderno, in polemica continua con i tempi suoi, un “meteorite caduto per caso nell’Ottocento”, secondo la definizione di Cesare Garboli.
Oggi il compito della poesia sembra un’autocelebrazione. Sembra che i poeti non abbiano più nemici da contrastare. Troppi poeti della domenica. E tu che poeta sei? Quanto prendi sul serio la poesia?
Voglio essere sincero: non amo gran parte della poesia moderna, soprattutto quando essa è strutturata in una forma che, come è stato giustamente detto, vuole apparire come enigmatica mentre è semplicemente oscura, tanto oscura – aggiungo io – che spesso mi viene il dubbio che neanche l’autore sa bene che cosa voglia dire.
La poesia è, invece, fondamentalmente ricerca, approfondimento, scoperta del senso della vita e delle cose. E, a livello artistico, è “in-formare”, cioè calare in una forma artistica le idee scendendo in ogni momento a patti con il linguaggio. Vista così, la poesia è una cosa estremamente seria per cui richiede impegno, dedizione, ricerca consapevole. Al di là di questa che è la sua vera essenza, c’è solo o dilettantismo o una semplice esigenza di dire.
Chi è il tuo nemico ‒ se c’è un nemico ‒ nella vita e nella letteratura?
No, non penso di avere nemici nella vita e nella letteratura, anzi, neanche avversari. Svolgo il mio lavoro con onestà intellettuale, senza inutili e insopportabili invidie e gelosie, e senza pormi in competizione o in polemica con nessuno. Ma quando sono chiamato a dire la mia, ovviamente, non riesco ad essere insincero.
Si sa che molti premi letterari, direi il 90%, sono costituiti ad personam, per amici e con una tassa di lettura per leggere qualche testo. Hai mai partecipato ad uno di essi e che opinione ti sei fatto, quale beneficio può arrecare un siffatto premio?
Per il passato ho partecipato a qualche concorso, ma da moltissimi anni vi ho rinunciato perché mi resi subito conto della loro sostanziale inutilità, se non addirittura dannosità perché spesso si premiano concorrenti che poi credono di essere autori di una nuova Divina Commedia. I premi di basso profilo non servono a nessuno; quelli importanti sono gestiti con logiche perverse, fondate su interessi particolari, amicizie, scambi di favori. Semplicemente: deprimente!
Oggi, con la crisi dell’editoria, pubblicare un volume non è semplice: le grandi case editrici non ti filano se non sei legato alla politica o a risorse economiche; per di più le piccole ti chiedono contributi economici, spesso esosi. Hai riscontrato difficoltà editoriali durante il tuo percorso, ti hanno mai chiesto denaro per pubblicare? Puoi farci qualche nome di editori a pagamento che hai incontrato sul tuo percorso?
Ho pubblicato libri con editori che rispondono ai nomi di Olschki e Manni e, per quanto riguarda la scolastica, Bulgarini e Loffredo, sempre con edizioni regolari. Per la poesia, invece, ho pubblicato, in alcuni casi, in proprio, con l’appoggio benevolo di qualche amico editore. Per fortuna non ho mai dovuto pagare un editore.
Che cosa distingue l’uomo dal poeta?
È una domanda cui è molto difficile rispondere, anche perché bisogna analizzare caso per caso. Potrei, in genere, dire che l’uomo e il poeta rispondono a logiche diverse, come si vede in molti personaggi i quali, ad una vita condotta in modo miserabile o miserevole, fanno corrispondere prodotti poetici di altissimo valore.
Che cosa ti fa più paura nella vita e nel mondo artistico?
Nella vita, le malattie, più che la stessa morte; nel mondo artistico non penso di aver paura di qualcuno o di qualcosa. Svolgo tranquillamente il mio lavoro in piena libertà e senza alcuna forma di condizionamento.
È risaputo che al giorno d’oggi si legge molto poco; gli autori, che siano poeti narratori o saggisti, a giusta ragione si lamentano di questa inedia. Tu quanto tempo dedichi alla lettura, quindi alla formazione e allo studio, e quanto alla scrittura?
Certo che si legge molto poco. E non è certo colpa degli autori, anche se anch’essi hanno responsabilità sulle quali sarebbe il caso che meditassero.
Sul piano personale, da quando ho smesso di insegnare, mi dedico al lavoro culturale e letterario a tempo pieno, alternando, ovviamente, le diverse attività.
Qual è l’ultimo volume che hai letto?
Un saggio sull’Infinito leopardiano, “E come il vento”, di Davide Rondoni.
Quando ti sei accorto che potevi fare il poeta?
Quando, negli anni ’70, mi portai ad insegnare in Lucania, a Sant’Arcangelo, dove, lontano dalle dinamiche della vita del mio paese e soprattutto dall’attività politica, fui quasi costretto ad una vita più ritirata, potendo godere di maggiore “silenzio” e raccoglimento. Allora ebbi la possibilità di frequentare la poesia con consapevolezza critica rispetto a quando, in precendenza, l’avevo praticata piuttosto superficialmente. E da allora la mia dedizione al fare poetico è diventata più forte e consapevole, ma sempre alternata con la saggistica e la critica letteraria.
Cosa pensi dei libri digitali? Possono competere con l’editoria tradizionale, cioè con quella cartacea e perché?
Io amo il libro di carta: ho bisogno di possederlo, annotarlo, quasi consumandolo durante la lettura; e finanche di odorarlo per avvertirne il profumo, come anche altri hanno detto. Non so se i digitali possano competere con i cartacei, ma io spero proprio di no.
Qual è il tuo rapporto con la politica, con l’ambiente, con i problemi di tutti i giorni? Insomma, come vivi la quotidianità?
Dopo più di quarant’anni di attività politica, esercitata attraverso un percorso ricchissimo e piuttosto problematico, prima nella Democrazia Cristiana e poi, dopo la conversione verificatasi negli anni di insegnamento in Lucania, nel Partito Comunista Italiano, ho finito per isolarmi, deluso incerto dubbioso, e per dedicarmi esclusivamente al mio lavoro culturale.
Ma frequento molto le manifestazioni letterarie e poetiche e gli incontri con altri amici letterati, dedicandomi anche con un certo impegno alle presentazioni dei libri miei e di quelli di altri e ad incontri con gli studenti nelle scuole dove torno sempre con grandissimo piacere perché avverto sempre nostalgia dell’insegnamento.
Ma negli ultimi tempi, avvilito da quel che sta succedendo a livello di conduzione del Paese, avverto l’esigenza, e l’obbligo, di tornare ad un interesse maggiore per la politica. Vedremo.
Trovi difficoltà con l’ambiente letterario in cui vivi e che rapporto hai con i tuoi colleghi campani?
Devo dire che l’ambiente letterario campano presenta una grande vivacità e una grande ricchezza. E questo al di là della cronica assenza di circuiti culturali e letterari e di grandi giornali e di grandi case editrici, di cui certamente soffriamo la mancanza. Inutile negarlo.
Ma voglio dire anche che, senza piangerci addosso, e senza lamentarci, facciamo il nostro lavoro con grande dignità.
Personalmente, vivo in amicizia con moltissimi intellettuali e letterati campani e non trovo difficoltà alcuna nella loro frequentazione.
Oltre alla poesia, di cosa ti occupi?
Come ho detto prima, di saggistica e di critica letteraria.
Hai una ricetta per far uscire la poesia dallo stato comatoso in cui versa?
Assolutamente no. Anzi, una ricetta ce l’ho: un interesse nuovo e concreto delle grandi case editrici verso la poesia, ma è una ricetta che non ha alcuna possibilità di essere accolta, anche perché le case editrici, nella stragrande maggioranza, non sono più proprietà di “Editori” veri e propri, come i vecchi Einaudi e Mondadori, che erano anche uomini di grande cultura e levatura intellettuale, ma sono cadute nelle mani di gruppi di speculatori, veri e propri “commercianti” di libri. Allora?
Allora continuiamo pure a pubblicarla noi la poesia, magari a nostre spese (il che non è certamente una vergogna! Se penso alle vicende editoriali dei Canti leopardiani…!), o attraverso altre forme di comunicazione (social, piccole raccolte, incontri) perché la poesia contribuisce alla crescita culturale e sociale dell’uomo.
In conclusione: quali programmi hai in cantiere?
A livello organizzativo: la Giornata leopardiana per la celebrazione del bicentenario della composizione dell’Infinito, che si svolgerà il prossimo 14 giugno, giorno della morte del Poeta a Napoli, nella Sala del Consiglio Comunale di San Giuseppe Vesuviano (Relatori: io stesso, che parlerò degli “Aspetti letterari e linguistici dell’Infinito, e il Prof. Gaspare Polizzi, dell’Università di Firenze, che parlerà degli “Aspetti filosofici e scientifici” dell’idillio), evento al quale siete tutti invitati.
Per quanto riguarda, invece, la mia attività letteraria, mi appresto a pubblicare due lavori: Il “romanzo famigliare” di Pierfrancesco Leopardi, dedicato al fratello minore di Giacomo, e una raccolta di versi che ha per titolo Il lato oscuro delle cose. Ma c’è ancora da attendere.