Il poeta campano che andiamo ad intervistare è Mariano Ciarletta, giovane poeta e scrittore, nato a Mercato San Severino (SA) nel 1992, è dottore in gestione e conservazione del patrimonio archivistico e librario, titolo conseguito all’Università degli studi di Salerno. Entra nel mondo della scrittura con una trilogia noir auto-prodotta con Youcanprint nel 2014 (Rami nel buio; L’esorcismo di Amanzio Evenshire e Ai bordi dell’abisso). Con Ai bordi dell’abisso ottiene un award dalla Costantinian University e vince, per la categoria romanzo, il premio letterario nazionale “Galiani Ricciardelli”. Nello stesso anno passa rapidamente alla lettura e allo studio della poesia a cui si appassiona giorno dopo giorno. Dall’osservazione quotidiana di ciò che circonda l’autore, pubblica le raccolte poetiche: La foresta delle rose scarlatte (Edizioni Plectica); Sentire (Edizioni Pagine). Nel 2015 pubblica con Aracne Tra miti e silenzi. Con questa raccolta vince il premio letterario “Taverna dei Briganti” di Salerno. L’ultimo volume editato dalla casa editrice La Vita Felice è Il vento torna sempre. Inoltre, alcune sue poesie inedite sono state pubblicate su varie riviste online e cartacee.
Come ti sei avvicinato alla poesia?
Ciao Giorgio, sono davvero felice di questa domanda anche perché, rispondendoti, rievoco ricordi piacevoli della mia adolescenza. Ho iniziato a scrivere poesie intorno ai 17 anni, un’età che per me è stata sì spensierata, ma anche pregna di difficoltà e sofferenze dovute proprio a quella fase di transizione-crescita che porta i ragazzi e le ragazze a diventare rispettivamente uomini e donne. La poesia, dunque, è nata in me spontaneamente anche se, devo confessarlo, a quell’età non avevo molta dimestichezza con la poesia contemporanea ma uscivo semplicemente da una formazione classica in cui avevo principalmente studiato gli autori e i poeti proposti dal programma scolastico.
Nel tuo essere poeta cosa metti al primo posto?
L’umanità. Come ho sempre sostenuto e come sosterrò sempre, per me la poesia è una sorta di scambio-condivisione. Infatti, quando sono entrato in questo meraviglioso mondo, la cosa più bella è stata quella di trovare persone che non mettevano al primo posto il proprio “io” poetico, bensì la voglia di confrontarsi, di costruire gruppi di lettura, di aggiornarsi e soprattutto leggere tanta, tantissima poesia. Dunque, al primo posto, per rispondere alla tua domanda, vi è sia l’aspetto umano-culturale del poeta, sia la lettura che è la base per poi scrivere.
C’è stato qualcuno che devi ringraziare per averti dato, che so, dei consigli di come muoverti nel tuo percorso artistico?
Vorrei ringraziare il mio primo editore Michele Citro che con pazienza ha letto e poi pubblicato le mie prime due raccolte poetiche (Iridi e Come Radice) e soprattutto vorrei ringraziare la poetessa e scrittrice Rita Pacilio per i consigli che mi ha fornito riguardo la mia poesia. Ovviamente un grazie è doveroso anche verso chi ha acquistato, letto e recensito le mie raccolte e al pubblico di lettori che sia virtualmente sia nella vita reale mi segue con dedizione ed affetto. Inoltre vorrei dire grazie anche a Manuela Minelli e Terry Olivi, poetesse con cui ho un bellissimo rapporto non solo professionale ma anche di amicizia, la loro vicinanza è stata per me preziosa durante la mia crescita artistica che non si è, ovviamente, ancora conclusa ma ha tanta strada da fare.
Cosa cerchi nella poesia? Quali sono gli argomenti alla base?
Ci sono diversi temi che affronto quotidianamente nella mia poesia. In verità non vi è nulla di prestabilito; cerco sempre di riversare il mio personale vissuto e il mio punto di vista nei miei versi. Se dovessi trovare dei punti fermi direi che il tema predominante è quello relativo al binomio amore-dolore.
Oggi il compito della poesia sembra un’autocelebrazione. Sembra che i poeti non abbiano più nemici da contrastare. Troppi poeti della domenica. E tu che poeta sei? Quanto prendi sul serio la poesia?
Questa è una bella domanda. Io credo che la poesia non debba essere assolutamente autocelebrativa ecco perché, nel corso degli anni, ho cercato di spersonalizzare i miei versi. Mi spiego meglio: oltre a dare un mio punto di vista ho cercato di comprendere cosa effettivamente pensassero gli altri, i volti che quotidianamente incontravo sul mio percorso e che ancora oggi incontro. Questo mi ha portato a non focalizzarmi più tanto su di me ma su ciò che mi circonda e ciò ha determinato la formazione di una poesia non autocelebrativa ma di osservazione. Ovviamente, nel mondo della scrittura, ognuno può scrivere come meglio crede e soprattutto raggiungere gli obiettivi che si è prefissato in itinere. Ad oggi ho piacere degli apprezzamenti su facebook o dei complimenti dei miei lettori, ma sono davvero me stesso quando dialogo con loro o mi analizzo nel profondo per capire e per scoprire quanto ancora di poetico ci può essere in me e, credimi, credo di avere ancora tanta ma tantissima strada da fare.
C’è qualcosa o qualcuno che proprio non sopporti nella vita, nella letteratura?
Ci sono autori contemporanei che preferisco leggere, altri meno. Con alcuni colleghi sono nate anche delle bellissime amicizie, con altri no. In fondo la vita va così, giusto?
Si sa che molti premi letterari, direi il 90%, sono costituiti ad personam, per amici e con una tassa di lettura per leggere qualche testo. Hai mai partecipato ad uno di essi e che opinione ti sei fatto, quale beneficio può arrecare un siffatto premio?
Ho partecipato a vari premi letterari ma, per quanto mi riguarda, il valore del premio è fine a se stesso. Non si deve partecipare per dire “ecco, ho partecipato e ho vinto”. Certo, se arriva una gratificazione credo sia giusto condividerla e gioirne, ma “vincere un premio” non dimostra assolutamente la bravura di un autore. Ho conosciuto autori bravissimi che non avevano mai partecipato a premi letterari e non avevano assolutamente mai vinto nulla, eppure le loro raccolte mi hanno incantato e ancora oggi continuo a rileggerle. Credo sia questa la vera vittoria della poesia: arrivare in fondo, qui, nell’anima.
Oggi, con la crisi dell’editoria, pubblicare un volume non è semplice: le grandi case editrici non ti filano se non sei legato alla politica o a risorse economiche; per di più le piccole ti chiedono contributi economici, spesso esosi. Hai riscontrato difficoltà editoriali durante il tuo percorso, ti hanno mai chiesto denaro per pubblicare? Puoi farci qualche nome di editori a pagamento che hai incontrato sul tuo percorso?
Ti dirò, mi sento di fare una distinzione riguardo questo tema sul quale oggi numerosi critici e letterati si esprimono. Non è sempre detto che l’editoria a pagamento sia un elemento negativo: argomentando meglio la mia affermazione ti faccio l’esempio di una casa editrice, appunto, con cui ho pubblicato. A parte la richiesta di un compenso davvero ridotto per circa 300 e passa copie, ti posso assicurare che quest’editore ha compiuto un lavoro intenso di presentazioni, articoli e incontri con l’autore e il tutto gratuitamente. Dunque, ciò che mi ha colpito è l’ottima organizzazione del calendario e, di conseguenza, non posso assolutamente lamentarmi anche perché, bene o male, vendendo le copie sono rientrato nelle spese iniziali. Ho anche pubblicato con case editrici free che, però, a differenza di quanto spesso si crede, non hanno dimostrato la stessa cura e la stessa attenzione nelle presentazioni per cui, invece, chiedevano un bel compenso e, di conseguenza, buona parte delle copie sono rimaste invendute. In sostanza: c’è editoria ed editoria a pagamento e non sempre questa è uguale. Per quanto riguarda la grandi case editrici, al momento, non ho ancora provato ad inviare nulla: ho ancora molto da imparare e poi, per adesso, sto bene così.
Cosa distingue l’uomo dal poeta?
Credo che siano la stessa cosa solo che, ad un certo punto, ci sono sensibilità particolari che emergono e che portano l’uomo a diventare poeta: così inizia la ricerca, l’osservazione e il domandarsi i perché delle cose. Questo, a ragion del vero lo fanno tutti, ma quanti lo mettono su un foglio bianco? I poeti, appunto, o chi, come nel mio caso, è appassionato alla poesia.
Che cosa ti fa più paura nella vita e nel mondo artistico?
Al momento non ho paure particolari, l’arte che porto avanti mi piace e so che, anche se non dovessi arrivare al grande pubblico come poeta, sarò comunque felice dei risultati raggiunti.
È risaputo che al giorno d’oggi si legge molto poco; gli autori, che siano poeti narratori o saggisti, a giusta ragione si lamentano di questa inedia. Tu quanto tempo dedichi alla lettura, quindi alla formazione e allo studio, e quanto alla scrittura?
Per me la lettura è di fondamentale importanza. Negli ultimi anni, oltre alla poesia contemporanea, sto leggendo vari saggi storici sul tema dell’eresia, non solo perché mi è utile ai fini dei miei studi, ma anche perché mi affascina particolarmente. Adoro la storia medievale, la storia moderna e i trattati storici, forse meno i romanzi che comunque ho letto.
Qual è l’ultimo volume che hai letto?
Riguardo la saggistica Giovanna D’Arco di Regìne Pernaud, come romanzo storico La Canzone di Achille e come silloge poetica Chiodi di Agota Kristoff.
Quando ti sei accorto che potevi fare il poeta?
In verità non voglio fare il poeta, voglio semplicemente vivere di poesia.
Cosa pensi dei libri digitali? Possono competere con l’editoria tradizionale, cioè con quella cartacea e perché?
Preferisco il buon vecchio cartaceo, sia perché da bibliofilo non posso fare a meno dell’odore dei libri sia antichi sia moderni, sia perché vuoi mettere? Il piacere di sfogliare le pagine, osservare i caratteri, lì c’è tutta la storia, tutto il vissuto dell’uomo-autore. Non ho nulla contro il digitale, sia chiaro, ognuno può leggere come vuole, basta che si legga.
Qual è il tuo rapporto con la politica, con l’ambiente, con i problemi di tutti i giorni? Insomma, come vivi la quotidianità?
Fortunatamente la città in cui vivo (Mercato San Severino) è molto tranquilla. Riguardo la politica, in generale, cerco di rimanere sempre aggiornato e, in questo caso, leggo spesso gli articoli sui quotidiani online e sui magazine.
Trovi difficoltà con l’ambiente letterario in cui vivi e che rapporto hai con i tuoi colleghi campani?
Questa è una domanda molto interessante. Ho trovato colleghi con cui sono nate delle meravigliose collaborazioni. Rita Pacilio e Michele Citro sono appunto due di questi. Ho organizzato anche degli eventi a San Severino cercando di coinvolgere una buona fetta degli scrittori e poeti campani che conoscevo e il riscontro è stato positivo. Dunque, al momento, non mi lamento, ho intessuto degli ottimi rapporti che spero possano proseguire anche in futuro. Anche qui ci sono a volte delle piccole difficoltà ma, come ho detto prima, di essere poeti e scrittori siamo esseri umani e dunque, a volte, ci si può fraintendere.
Oltre alla poesia, di cosa ti occupi?
Sono appassionato di sport e ho praticato la pallavolo per circa dieci anni, oggi oltre allo studio passo le mie giornate in palestra, con gli amici o a leggere libri. A livello professionale, dopo aver conseguito anche la laurea in filologia moderna ho intrapreso la strada dell’insegnamento che mi sta dando davvero tante soddisfazioni.
Hai una ricetta per far uscire la poesia dallo stato comatoso in cui versa?
Semplicemente fare buona poesia essendo se stessi. Credo che prima della poesia il lettore sia curioso di conoscere il poeta o chi semplicemente si accinge a scrivere versi. Magari farsi conoscere, dialogare con i lettori, condividere una parte della propria vita sarebbe un’ottima idea per creare una relazione tra pubblico e poeta in modo da far sentire la poesia o il “fare” poesia più vicino alle persone.
In conclusione: quali programmi hai in cantiere?
Ultimamente sto lavorando ad un saggio storico che, come spero, probabilmente vedrà luce a breve. Sono molto soddisfatto di questo lavoro che mi ha portato via 3 anni di ricerche e che, alla base, ha un percorso ancora più lungo di studi e analisi. Per quanto concerne la poesia, ogni volta che il mio animo me lo suggerisce butto giù qualche verso. In fondo è proprio questo che mi piace, non sentirmi vincolato a date o scadenze ma scrivere quando ho davvero da dire qualcosa e soprattutto quando posso farlo nel modo giusto.