Il poeta campano che andiamo ad intervistare è Ketti Martino, nata a Napoli, laureata in Filosofia. Ha pubblicato le raccolte poetiche: I poeti hanno unghie luride (Boopen Led, 2010) e Del distacco e altre impermanenze (La Vita Felice, 2014). È presente nella raccolta di saggi critici a cura di Raffaele Urraro, Le forme della poesia (La Vita Felice). Ha curato con Floriana Coppola l’antologia poetica La poesia è una città (Boopen Led, 2011). I suoi testi sono presenti in antologie poetiche, tra cui: Alchimie e linguaggi di donne (Boopen Led); Alter ego. Poeti al Mann (ArteM, 2011); Percezione dell’invisibile (L’Arca Felice, 2012); Ifigenia siamo noi (Scuderi, 2014). Nel 2014 ha ideato e curato la rassegna di poesia “Poesia sospesa al bar” tenutasi a Napoli dall’8 Marzo al 3 Maggio 2014. Ha preso parte a numerosi reading ed eventi letterari.
Come ti sei avvicinata alla poesia? C’è stato qualcuno che devi ringraziare per averti dato, che so, dei consigli di come muoverti nel tuo percorso artistico?
La passione per la scrittura, e per la poesia in particolare, è nata negli anni in cui frequentavo la scuola media, grazie all’insegnante di Lettere che ci invitava costantemente alla lettura dei classici e alla libera espressione scritta. Poi, sebbene a fasi alterne, è diventata per me un’esigenza più pressante che ho iniziato a soddisfare anche al di fuori degli orari e dei compiti scolastici.
Quali programmi hai in cantiere?
Le idee, a dire il vero, sono molteplici, ma quelle a cui sto concretamente lavorando si avvicinano di più all’espressione narrativa e alla prosa poetica da cui già da un po’ mi sento attratta.
Come vivi la cultura, la poesia, nella tua città, nella tua vita? Trovi difficoltà e quali?
La mia città, Napoli, offre quotidianamente un ventaglio di eventi culturali e letterari molto nutrito, pur se non sempre affine ai miei interessi o, ahimè, stimolante per quanto concerne la crescita e il confronto. Per la poesia, qualche realtà più interessante è rintracciabile in alcuni ambiti che, scevri da condizionamenti vari, si pongono non tanto come vetrina ma più come territori idonei a un costruttivo scambio letterario-culturale.
Oggi, con la crisi dell’editoria, pubblicare un volume non è semplice: le grandi case editrici non ti filano se non sei legato politicamente o a risorse economiche, e le piccole ti chiedono contributi economici, spesso esosi. Per non parlare poi della poesia che, seppur prolificante, è rinchiusa in “cripte” elitarie. Hai riscontrato difficoltà editoriali durante il tuo percorso, e se sì, per quali motivi?
Per quanto riguarda la poesia, l’editoria a pagamento è purtroppo una realtà, ed è in parte responsabile dell’abbassamento del livello qualitativo di tante pubblicazioni reperibili sul mercato. Le grandi case editrici, quasi inavvicinabili, a meno che non si goda dell’introduzione da parte di un nome già accreditato, hanno ormai abbandonato l’interessante, tradizionale, lavoro di scouting; inoltre, in una società come la nostra, capitalistica e fortemente consumistica, diviene consequenziale che si rincorra, al contrario, la vendibilità tout court, anche a discapito della qualità. Devo riconoscere che l’esperienza con le C. E. con cui ho pubblicato non ha registrato difficoltà e il risultato del lavoro ha sempre consegnato un prodotto dignitoso, è tuttavia indubbio che una scelta in tal senso debba essere più che oculata proprio per non cadere nei tranelli di cui sopra.
Se dovessi paragonare la tua poesia ad un poeta famoso, a chi la paragoneresti? Quale affinità elettive ci trovi con la tua poesia?
In genere non amo i paragoni, tanto più in poesia e se riferiti a un poeta famoso ché equivarrebbe a un fatuo autoincensarsi. Ho i miei poeti del cuore, classici o contemporanei che siano, che amo smisuratamente e che rileggo di tanto in tanto, tra questi Leopardi, Pascoli, Sereni, Sicari, Walcott, Gualtieri, Gatto, Strand, Cattafi, Neri, De Angelis.
A questo punto parlaci della tua poetica, di come lavori. Qual è il tuo intento?
Per me la poesia è materia viva, organica, “non è né espressione né comunicazione ma vita”, come sostiene il filosofo Aldo Masullo, pertanto non esiste una modalità unica di lavoro: in genere inizio a scrivere sempre sulla scorta di una spinta interiore, come se quella certa quota di “inesprimibile” che è in me desiderasse prepotentemente tramutarsi in parola; altre volte, invece, finisce che m’innamori di una parola o di un’idea e su quella inizio a lavorare; altre ancora parto da un punto A per finire a un punto Z, diametralmente opposto, per poi arrendermi al nuovo desiderio e lavorare a quello. In ogni caso, la motivazione parte sempre da una necessità, dal desiderio di trasformare in reale una visione, una percezione che altrimenti sarebbe indicibile e sfumerebbe sul nascere. Un po’ come voler esprimere sogno e pensiero riuniti in un’immagine, per dirla con Saramago.
La soddisfazione maggiore – se c’è stata – che hai raccolto nel mondo letterario?
Le soddisfazioni, grandi o piccole, sono state finora tante ma, al di là di quelle canoniche che chiunque scrive si aspetta e che ho ricevuto, quali premi letterari, recensioni, posso affermare che sono stati soprattutto l’incontro e il confronto con i lettori, in seno a presentazioni, reading, contatti epistolari, a consegnarmi i riconoscimenti forse più emozionanti e corroboranti.
Cosa pensi dei libri digitali? Possono competere con l’editoria tradizionale, cioè con quella cartacea e perché?
Sono un’appassionata del cartaceo e confesso di non essere mai riuscita a leggere un libro digitale; essendo però, d’indole e per convinzione, sempre aperta al nuovo penso che, se ciò può contribuire ad avvicinare alla lettura anche i più refrattari e a colmare alcune pecche nella catena della distribuzione del libro, ben vengano anche quelli in forma digitale.
Qual è il tuo rapporto con la politica?
Seguo gli eventi politici del nostro Paese da cittadina attenta, non ho mai fatto politica attiva pur avendo in passato vissuto una forte partecipazione. Sono molto presa dalle problematiche sociali delle minoranze e ho partecipato ad attività di associazioni per la tutela di queste.
Come vivi la quotidianità?
Dedicando molto del mio tempo alla lettura. Mi affascinano tutte le forme ed espressioni artistiche, dalla musica al teatro al cinema; sono una frequentatrice assidua di musei, italiani ed esteri. Mi piace fare lunghe passeggiate, anche in città e nel caos perché anche lì le suggestioni e le opportunità creative non mancano. Mi affascinano i paesaggi sia naturali sia urbani e mi piace fotografarli. Anche per motivi affettivi sono spesso all’estero (Londra), città che, con una realtà tanto diversa da quella napoletana, più accogliente per certi versi ma per altri fortemente respingente, trovo molto stimolante ai fini della mia produzione.
Oltre alla poesia, di cosa ti occupi?
Dopo aver insegnato per decenni nella scuola pubblica, ora il mio rapporto con l’insegnamento si limita a qualche consulenza didattica e/o attività di recupero presso alcune strutture private.
Se potessi cambiare lo stato comatoso in cui vive oggi la nostra società, quali sarebbero le tue soluzioni, le proposte?
Penso che ogni evoluzione o risveglio sociale abbia necessità anche di politiche sociali più attente al sostegno verso le fasce sociali più deboli oltre che di investimenti più sostanziosi e mirati nel settore della cultura e dell’istruzione.
Qual è la tua ultima fatica editoriale? Puoi parlarcene?
A settembre del 2018 è uscita la mia terza raccolta poetica, Il ramo più preciso del tempo (Oèdipus), a quattro anni dalla precedente e ad altrettanti dalla prima. È un lavoro che prosegue e approfondisce la mia ricerca sul mutamento e su quanto il Tempo, la sostanza della vita di cui siamo fatti, contribuisca a ratificare queste trasformazioni. Un libro per me molto importante perché costituisce anche la tappa di un percorso poetico-letterario e speculativo consapevole di come e quanto le dimensioni della vita e del Tempo si intersechino e si rincorrano in una sorta di viaggio simbolico che accoglie gli opposti non tanto da antagonisti quanto da estremi dialoganti.