XV° anniversario dell’assassinio di Don Giuseppe Diana, tra inclusione ed esclusione sociale.
Il 19 Marzo 1994 alle 7.30 del mattino con quattro colpi di pistola veniva assassinato Don Giuseppe Diana nella sagrestia della Chiesa di S. Nicola di Bari a Casal di Principe. Quattro colpi di pistola andati tutti a segno: due alla testa, uno in pieno viso e uno sulla mano. Da quel giorno niente è stato più come prima e soprattutto sia la camorra che l’anticamorra in “terra di lavoro” non sono state più le stesse. Quindici anni dopo ci ritroviamo tutti davanti allo stadio di Casal di Principe, per mantenere viva la memoria di questo sacerdote catalizzatore di positività e creatore di coscienze come pochi. Manifestazione promossa da Don Luigi Ciotti e la sua “Libera” che ha portato alla firma di un protocollo di intesa tra associazioni ed istituzioni per usufruire delle terre confiscate alla camorra. In queste terre si produrrà “la mozzarella della legalità”, in risposta al racket capillare operato nell’area del casertano considerata regina d’Italia per produzione di latticini. C’erano tante persone, c’erano scuole provenienti da tutta Italia, da Padova a Torino, da Gela passando per la Sardegna, ovunque si vedevano striscioni in favore della legalità e in ricordo di “Pinuccio” come papà Gennaro e mamma Iolanda chiamano Don Peppino. C’erano rappresentanti istituzionali e professionisti dell’antimafia, c’erano tutti ma si sentiva nell’aria l’assenza di chi quotidianamente, convive con lo strapotere del clan dei casalesi, si sentiva l’assenza della gente di Casale, le brutte facce di persone infastidite da intralci alla circolazione a causa di un corteo di oltre 25.000 persone che attraversava questo minuscolo paese che ha una delle più alte percentuali di condanne per 416 bis del mondo. Si sentiva il fastidio e la distanza anche tra la gente e i rappresentanti istituzionali che sono accorsi come quando si accorre per la prima pietra di qualche ambiziosa costruzione. Si sentiva tra la folla del corteo parole del tipo “quando oggi smonteremo tutto, domani sarà di nuovo la stessa situazione”. Francamente erano anche poche le lenzuola bianche che ho visto stese sui balconi delle case, quelle stesse lenzuola bianche che nel 1994 erano migliaia e che hanno fatto il giro del mondo. Segno che la camorra o la mafia casalese (perché di mafia si tratta e non di camorra) hanno permeato e plagiato la società civile fino a farla latitare, ma è un latitare intellettuale che ha a che fare con la libertà di espressione. Ho visto finestre chiudersi troppo frettolosamente al passaggio del corteo, saracinesche di esercizi commerciali chiuse che sono il simbolo di un protestare che non si sa da che parte sta. La condizione sociale dominante è quella camorristica non quella intimamente e quasi clandestinamente espressa dalla timida società civile casalese. I ragazzi si vergognano che ci sia la manifestazione, si vergognano di proporre all’interno di una comitiva: “Domani andiamo anche noi alla manifestazione?” e così vedi il rifiuto e la derisione dipinti sul volto delle persone che guardano sfilare il corteo e che arrivano su veloci e rombanti scooter a deridere i partecipanti dopo la premiazione delle medaglie d’oro assegnate alle famiglie di Domenico Noviello (imprenditore) e Federico Del Prete (sindacalista). Risate che includono la camorra all’interno del sistema sociale che è ormai in grande maggioranza pervaso da questo stile e che fa arretrare la società civile che dovrebbe riversarsi in massa verso la manifestazione magari con i bambini piccoli per mano. Riprendo le parole di Don Luigi Ciotti pronunciate dal palco davanti al cimitero dove giace Don Peppino Diana: ” Tutte queste persone sono morte perché noi non siamo stati abbastanza vivi”.