É pignorabile solo il quinto della quota di pensione netta mensile che eccede il minimo vitale. Diversa la disciplina in materia di pignorabilità degli stipendi anche dopo la decisione della Corte Costituzionale: tocca al giudice dell’esecuzione, caso per caso, stabilire l’importo che non può essere pignorato, perché il legislatore non ha stabilito i criteri. E la Cassazione auspica un intervento per coprire il vuoto normativo
Un piccolo sospiro di sollievo contro i famelici creditori per i pensionati ed in particolare per quelli in maggiore difficoltà e sono tanti, tantissimi in questo grave momento di recessione, arriva dall’importante precedente stabilito dalla sentenza della Corte di Cassazione 18755/13, pubblicata il 7 agosto. Con la decisone in questione i giudici della terza sezione civile hanno stabilito il principio, assolutamente equo e logico, secondo cui la pensione può essere pignorata soltanto nella misura di un quinto della quota di pensione netta mensile che eccede il minimo vitale. E ciò anche dopo la sentenza della Corte Costituzionale 506 del 2002: le differenze con l’esecuzione sullo stipendio sono tuttora vigenti. Mentre non é possibile stabilire a priori la somma che non può essere oggetto della procedura di espropriazione in assenza di una normativa ad hoc. In tal senso, gli ermellini segnalano il vuoto normativo sottolineando «l’inerzia» del legislatore. Tocca, quindi, al giudice dell’esecuzione decidere caso per caso. Nel caso di specie, è stato rigettato il ricorso del creditore procedente, che aveva avviato la procedura di pignoramento presso terzi, in particolare nei confronti dell’istituto previdenziale che eroga la pensione alla debitrice. Rigettata l’eccezione secondo cui il Tribunale avrebbe dovuto ritenere pignorabile l’intera somma residua risultante dalla differenza tra l’importo della pensione e l’importo minimo assolutamente impignorabile (fermo restando che in ogni caso questa parte, ritenuta pignorabile, non possa superare i limiti del quinto dell’importo netto della pensione). È giusto invece il calcolo del Tribunale che di fronte alla pensione di reversibilità pari a 620,61 euro, ne ritiene intangibili 525,89 a titolo di minimo vitale, prendendo come parametro quello della legge finanziaria dell’epoca, e poi dichiara pignorabile nei limiti del quinto la differenza fra i due importi. Pochino rispetto al credito vantato pari a quasi 18 mila euro. Ma dura lex sed lex e il creditore procedente non può andare oltre. I giudici di legittimità ricordano che
la Corte Costituzionale, con la sentenza sopra menzionata, ha voluto mantenere netta la differenza nell’ambito dell’espropriazione forzata fra retribuzioni e pensioni, laddove il trattamento previdenziale risulta comunque connotato dal principio di solidarietà sociale stabilito dall’articolo 38 della Costituzione.É ovvio che in assenza di parametri legali certi e prestabiliti, é quantomai necessario l’intervento del legislatore ad individuare il metodo per stabilire la soglia sotto la quale il beneficio non può essere aggredito dal creditore procedente (con l’eccezione dei crediti qualificati). Non esistono oggi criteri applicabili in modo diretto, in primis quello che rimanda alla pensione sociale. Lo stesso giudice di merito utilizza il baremes del minimo vitale indicato dalla Finanziaria dell’anno in corso per avere un riferimento senza ritenere che sia quello il parametro prescelto dal legislatore. Ad ogni modo, il creditore che eccede nella procedura di espropriazione forzata viene stoppato definitivamente dalla decisione della Suprema Corte.  Â