Quando la cinepresa incontra la carta stampata nasce la necessità da parte di chi intende raccontare un fatto realmente accaduto di fare i conti con l’analisi dei dati. Accade che al regista glisi chiede di misurarsi con la notizia e trasporla, nella maniera più fedele e meno “succinta” possibile, al pubblico che guarda, osserva, critica le immagini con o meno rigor di logica. Un’impresa a detta di molti, ma che il mondo del cinema, soprattutto quello di matrice americana, è riuscito a rappresentare facendo letteralmente formazione giornalistica. Registi in grado di aver dato voce e immagini a professionisti che in prima persona si sono esposti ricostruendo un mondo, quello giornalistico, ricco di significati e prospettive interpretative che si sono susseguite pellicola dopo pellicola.
Fortapàsc di MarcoRisi in cui viene riportata la vicenda del giornalista napoletano Giancarlo Siani, interpretato da Libero De Rienzo, vincitore del David di Donatelloper il film Santa Maradona(2001) di Marco Ponti. Siani fù ucciso nella sua auto all’età di soli 26 anni dai camorristi annunziatesi per aver alzato troppo la manica, per aver indagato sulle alleanze camorristiche nel territorio napoletano. Fortapàsc non è tanto un film sulla camorra – dichiara Risi – ma riflette, in special modo,ilrapporto che il giornalismo intrattiene con la realtà. Non solo: esso è rappresentativo di un’epoca, gli anni ’80, in cui l’attività giornalistica veniva vissuta come profonda ricerca mossa dal desiderio di conoscere e di sporcarsi le mani. Una Napoli – quella immaginata dal regista – dove non sempre l’acqua si trasforma in fango perché gli esempi come Siani ci hanno mostrano esattamente il contrario.
Poco apprezzato dal New York Times nonostante la magistrale interpretazione di C.Blanchette, è stato inveceil film dal titolo: Veronica Guerin: il prezzo della libertà diretto dal regista Schumacher. La storia riporta la vicenda di Veronica Guerin,giornalista di origini irlandesi presso il Sunday Indipendent barbaramente uccisa con 6 colpi di pistola per essersi occupata della diffusione del traffico di droga a Dublino. Un omaggio indiscusso al coraggio e al suo grande fiuto per le buone storie. Sul versante italiano, il regista Orgnani ricorda nel suo lungometraggio l’omicidio di Ilaria Alpi giornalista RAI, e del suo operatore di ripresa Miran Hrovatin uccisi in Somalia, e ancora il regista Tullio Giordana ricorda ne: I cento passi, la vita e l’omicidio di Peppino Impastato impegnato nella lotta contro la mafia nella sua terra, la Sicilia. La pellicola presenta un Peppinocontrocorrente che sceglie di denunciare, attraverso l’impegno politico e giornalistico che la mafia è una montagna di merda, è bisogna scriverlo prima di non accorgerci più di niente, prima che sia troppo tardi.
Numerosi sono stati i lungometraggi dedicati all’attività giornalistica d’inchiesta: a titolo d’esordio troviamo sicuramente Tutti gli uomini del presidente traduzione italiana del titolo americano: All the President’s Men diretto da AlanPakula. Il film, ispirato alle vicende del libro di Bob Woodward e Carl Bernstein, riporta le vicende di due cronisti del Washington Post che scoprono l’apparente rivalità dei due partiti democratici, tra la Casa Bianca e il caso Watergate, provocando nel 1974, le dimissioni del presidente Nixon ad opera del Washington Post. Il film, vincitore di ben 4 premi Oscar, proprio qualche giorno fa ha compiuto 40 anni dalla sua prima uscita. Un rapporto, quello tra cinema e giornalismo, inaugurato ufficialmente nel 1976 e fin dal primo ciak, quando Frank Willis, la guardia giurata che scoprì l’effrazione nel Watergate iniziò ad investigare negli ambienti governativi.
Un vero cult del cinema che racconta il giornalismo nelle sue multiformi sfaccettature: politica, corruzione, malaffare, il tutto tenuto insieme da un pool investigativo formidabile interpretato da un duo di attori del calibro di Robert Redfort e Dustin Hoffman, un film-maker intramontabile che può spiegare, almeno in parte, il successo de: Il caso Spotlight, essenzialmente un omaggio, per la sua dimensione di denuncia, al giornalismo investigativo sullo stile adottato da Pakula.
Proprio nel momento in cui sotto l’influenza di Internet, prevale un modo di fare informazione istantaneo e superficiale, il mercato cinematografico si è posto l’obiettivo di dare rilievo al lavoro d’inchiesta, complesso quanto pericoloso ma di fondamentale importanza per gli episodi drammatici di attualità che per ragioni moralmente raccapriccianti restano nell’ombra o seppelliti in qualche archivio. Il caso Spotlight,vincitore del premio Oscar come miglior film e miglior sceneggiatura originale, è un film sul prezzo e sul valore della verità, sulla ricerca e sulla libertà dell’informazione, sulle difficoltà incontrata dal team Spotlight del Boston Globe di risalire alla verità sui casi di pedofilia all’interno della Chiesa cattolica. Il caso racconta l’inchiesta (Premio Pulitzer)sull’arcivescovo di Boston, Bernard Francis Law, accusato di aver coperto casi di abusi sessuali commessi ad opera di oltre 70 sacerdoti sui bambini.Un ruolo, quello assunto dalla Chiesa Cattolica, che ha pensato di salvare la fede di molti nascondendo i giochi sessuali e perversi di pochi. Un film che induce necessariamente a riflettere sui significati e sui valori veicolati dalla Santa Sede. Nel cast attori del calibro di Mark Ruffalo, Stanley Tucci, Michael Keaton, Rachel McAdams perfettamente aderenti al ruolo.
Ed è sulla stessa linea d’onda che si colloca The Truth: il prezzo della verità, tratto dal romanzo autobiografico della giornalista Mary Mapes dal titolo Truth and Duty: The Press, The President and The Privilege of Power. In puro stile legal thriller, la pellicola si ispira a fatti realmente accaduti narrando, attraverso le voci di interpreti quali Cate Blanchette e Robert Redford, il Caso Rathergate. (dal nome del giornalista Dan Rather), che durante un’intervista e prima delle elezioni presidenziali si espose a favore per l’elezione di George W. Bush per evitare di essere arruolato in Vietnam. La bufera mediatica che ebbe seguito determinò le dimissioni di Rather facendo precipitare nel caos la CBS News.
Oltre The Truth, ilCaso Spotlight ci riporta inevitabilmente alla memoria il documentario El Club (2015) di Pablo Larraìn uscito nelle sale cinematografiche il 26 febbraio scorso. Una pellicola reale quanto drammatica, solenne quanto suggestiva nello stile. La storia si sviluppa all’interno di un’ambientazione in cui la separazione tra luci e ombre sembra non sia mai avvenuta e la vita di sacerdoti scorre distaccata dal resto del mondo, in un universo parallelo, su una spiaggia isolata, luogo di espiazione per i propri peccati. Sono sacerdoti macchiati di corruzione, gioco d’azzardo, pedofilia, tenuti lontano dalla vita sociale e che, nel paradosso più tragico e oltre i limiti della ragione, convivono con forme di pregheria e uno stile di vita rigoroso. Un racconto durissimo,El Club, vincitore dell’Orso d’Argento al Festival Nazionale del Cinema di Berlino, un’aperta denuncia sui crimini commessi dalla Chiesa.
Ma cos’è Il Club? Qual è la sua funzione? E’ la prigione nella quale sono stati esiliati dalla Chiesa i sacerdoti peccatori per nasconderli dalla vergogna e dall’imbarazzo o è la Chiesa stessa che si è posta come obiettivo quello di affidare alla giustizia terrena il compito di condannarli al loro ineluttabile destino di sofferenza? Di certo, dichiara Larraìn, finchè la Chiesanon abbraccerà la sua fallibile umanità, e i limiti e i diritti del corpo, da questa spirale di peccato e negazioni non c’è via d’uscita. Quello di Larraìn è un’inchiesta più che giornalistica, una trasfigurazione visiva dell’informazione che, per quanto scomoda possa essere, costituisce l’espressione della forza dolorosa del miglior cinema.