Nella sala del PAN, è stato presentato il secondo libro di Patrizio Fiore, già noto per Il ricamo mortale, l’intrigante romanzo, già vincitore di molti premi, con cui ha esordito nella narrativa questo singolare medico-giornalista-giallista (medico della prevenzione nella A.S.L. Napoli 1, ha alle spalle una annosa esperienza di giornalista) molto interessato a Napoli e ai suoi problemi. Sono intervenuti il giornalista Gino Giaculli e la scrittrice Serena Venditto; ha moderato il dibattito l’editore Aldo Putignano ed ha letto alcuni brani l’attrice Rosaria De Cicco.
Come nel Ricamo mortale, anche in questa raccolta di racconti l’autore, pur non indulgendo all’oleografia, non nasconde il senso di appartenenza con cui si sente coinvolto nella storia e nella cronaca della sua città. Le storie sono ovviamente di fantasia, ma rispondono a un’esigenza di verosimiglianza che appassiona il lettore, e presumibilmente non solo il lettore napoletano, visto che alcuni dialoghi in dialetto sono scritti in modo tale da rendere comprensibile il contenuto anche ad un non napoletano.
E gli ambienti sono i più vari, oltre quelli che si può aspettare un lettore anche esigente di storie napoletane e di gialli: da quello dei giornalisti a quello dei palazzinari che si sono arricchiti facendo diventare città i paesi di periferia, al sottobosco degli strozzini, dei ladruncoli, degli irregolari come gli zingari, all’ambiente dei musicisti e delle ballerine del teatro San Carlo o a quello dei vecchi avvocati, uno dei quali, appunto in tarda età, ritrova la sua professionalità con una verve e qualche caratteristica (l’abitudine a un liquore) che ricordano – palesemente, perché è lo stesso scrittore a ricordarcelo – l’”insuperabile Charles Laughton” nel film Testimone d’accusa.
Il libro propone l’“interminabile partita tra bene e male”, come dice l’anziano giornalista Stefano Capece al suo giovane e promettente allievo Geremia Tolino. Quest’ultimo, che abbiamo già conosciuto col soprannome di Attico nel Ricamo mortale, è un personaggio seriale, che l’autore ripropone in tre dei racconti di questa raccolta e che ha un suo fascino derivante dalle origini povere, dall’apprendimento del mestiere sul campo, dal suo antiintellettualismo (il giovane frequenta le scuole serali mentre inizia a scrivere pezzi per “Camera con vista”, il giornale di cui è direttore il suo pigmalione, Stefano Capece), non meno che dalla sua innata curiositas, dote indispensabile per chi voglia fare il giornalista.
Completa il volume una specie di postfazione che da qualche tempo è il marchio editoriale di Homo scrivens, la casa diretta da Aldo Putignano. Nelle pagine finali, infatti, intitolate “La stanza dello scrittore”, l’autore ha modo di presentare se stesso tra convinzioni (un minidizionario, da cui traiamo, a mo’ di esempio, questa frase luminosa: “Scrittura è il modo per rendere la memoria parola”), preferenze letterarie (un elenco di dieci libri consigliati dall’autore: manco a dirlo, dieci romanzi gialli), un’autobiografia narrativa (le tre anime di Patrizio Fiore: il medico, il giornalista, lo scrittore), ed infine le considerazioni dell’autore sulla propria opera, che sono per noi una conferma delle impressioni fin qui riportate e del fil rouge che tiene insieme il primo romanzo, questa serie di racconti e, siamo ormai certi, quello che seguirà.
L’attitudine alla costruzione di veri e propri puzzles narrativi che si ricompongono per gradi, sotto la guida sapiente dell’autore, è la caratteristica principale di Patrizio Fiore, napoletano prima che giallista, amante della sua città e dei suoi misteri, delle sue luci e delle sue ombre.