(Adnkronos) – Un piano messo a punto da un “manipolo di veterani e incalliti leader di Hamas”. Il Guardian racconta così l’attacco di un mese fa del gruppo in Israele, l’operazione ‘Alluvione di al-Aqsa’, con la scelta di trasmettere a voce le istruzioni a “migliaia di miliziani di Hamas tra i 2,3 milioni di abitanti di Gaza”, una decisione considerata “l’ultima di una serie di misure per ingannare uno dei più potenti sistemi di sorveglianza al mondo”.
I primi ordini, scrive Jason Burke sul giornale (dopo incontri con funzionari dell’intelligence israeliana, esperti e fonti a conoscenza dei contenuti degli interrogatori dei miliziani di Hamas catturati e anche sulla base di materiale diffuso da Hamas e dai militari israeliani), sono arrivati prima delle 4 del mattino con la direttiva di andare a pregare in moschea, poi un’ora dopo altre direttive, sempre per lo più con il passaparola, “prendere armi e munizioni a disposizione e radunarsi in punti precisi”.
Le ‘istruzioni’ si susseguivano “a cascata in tutta Gaza, date in prima battuta ai comandanti dei ‘battaglioni’ composti da un centinaio o più di persone”, fino ad arrivare a “amici, vicini e parenti che si erano uniti alle esercitazioni tenute due volte a settimana in decine di località dell’enclave”. E solo quando tutti si erano radunati sono state distribuite ulteriori munizioni e armi più potenti. Diventate le 6, sono arrivati gli ultimi “ordini”, scritti, ovvero “fiondarsi nelle aperture che sarebbero state presto create, fatte saltare o sfondate, lungo la barriera da un miliardo di dollari attorno a Gaza e attaccare i soldati israeliani e i civili dall’altra parte” del confine. Con il rave nel deserto che, si ritiene – scrive ancora Burke – non fosse tra gli obiettivi iniziali.
Ordini scritti per spiegare un piano preciso che Israele ritiene sia stato messo a punto in primo luogo da Yahya Sinwar, leader di Hamas nella Striscia, e da Mohammed Deif, a capo delle Brigate al-Qassam, braccio armato del gruppo. Un piano che prevedeva obiettivi distinti per ogni unità, una base militare o un kibbutz, una strada o una località, la cattura di ostaggi (ad oggi 240 restano prigionieri a Gaza), con ordini spesso corroborati da mappe.
Quel 7 ottobre sarebbero entrate in Israele, secondo alcune fonti, fino a 3.000 persone, anche miliziani della Jihad islamica palestinese, che – stando alle fonti del Guardian – non era stata informata in precedenza del piano. Nel caos generale anche civili sarebbero usciti da Gaza. Un attacco ‘catturato’ dalle fotocamere GoPro che Hamas aveva provveduto a distribuire agli assalitori. Una ricostruzione di un attacco che ha fatto circa 1.400 morti, in cui – evidenzia Burke – è difficile verificare molte affermazioni che sono state anche contestate, ma molti esperti di Hamas autorevoli e indipendenti hanno descritto come plausibile il racconto.
Un piano che secondo la sicurezza israeliana era stato tenuto nascosto alla leadership politica di Hamas all’estero così come agli sponsor del gruppo in Iran e che Hamas ha detto di aver messo a punto in due anni, ma che gli israeliani ritengono sia stato definito in meno tempo, un anno o 18 mesi al massimo. Un piano che, secondo molti esperti, ha fatto sì che Hamas sia stato sorpreso dal successo della sanguinosa operazione.
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