Lo stato ha un debito nei confronti della verità, nei confronti di un caso “irrisolto” che si è preferito chiudere. Stiamo parlando del caso Pasolini che dopo 39 anni riapre le indagini grazie alle nuove tecniche di investigazione utilizzate dai Ris. Un caso, quello di Pasolini, tragico e brutale che ancora oggi non ha trovato il suo fautore. La verità giudiziaria che ha condannato il ragazzo di vita Pino Pelosi non ha mai convinto. Dopo 39 anni dalla scomparsa di un intellettuale amato e odiato, nuove prove e testimonianze si fanno avanti. La tragedia, secondo l’ultima sentenza, scaturì a seguito di una lite per pretese sessuali di Pasolini alle quali Pelosi si sottraeva. Il giovane venne minacciato con un bastone da Pasolini per poi impossessarne e stramazzarlo al suolo. Gravemente ferito ma ancora vivo, venne ucciso quando Pelosi salì a bordo dell’auto dello scrittore e travolse più volte il suo corpo. In seguito Pelosi venne condannato in primo grado per omicidio volontario escludendo ogni riferimento al concorso di altre persone nell’omicidio.
Tuttavia, i recenti risultati del Ris avrebbero trovato tracce di Dna di un terzo uomo sulle tavolette trovate sul posto e utilizzate per colpire brutalmente lo scrittore. Tracce, che da quanto emerso dalle indagini, non apparterrebbero né a Pasolini e né a Pelosi. Un fascicolo aperto, una storia che ha ancora tanto da raccontare e un magistrato pronto ad indagare sui nuovi indizi. Oltre 300 professionisti da tutto il mondo vogliono sapere che fine ha fatto l’inchiesta sul delitto dello scrittore, rimasta tacita dalla magistratura romana dal 2009, ovvero da quando è stata riavviata. Un silenzio che non conduce e produce la verità sul caso. Nonostante gli ulteriori accertamenti ,queste 300 persone hanno deciso di lanciare un appello alla Procura della Repubblica di Roma attraverso una petizione che è stata organizzata dal consulente tecnico Ruffini della famiglia Pasolini.
E’ stata infatti la dottoressa in criminologia Simona Ruffini ad aver organizzato questa raccolta firme con lo scopo di sensibilizzare la magistratura romana: La verità non può aspettare – si legge nella petizione – i sottoscritti chiedono che il procuratore capo della Repubblica Giuseppe Pignatore definisca il procedimento sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini dopo oltre 5 anni dalla sua riapertura e dopo 39 anni dal delitto. Come funziona la petizione? Fino ad ora sono state raggiunte circa 300 firme, tuttavia chiunque da ogni parte del mondo può sottoscrivere la petizione, ogni firma, grazie alla programma di invio delle email può raggiungere la procura. Stefano Maccioni, legale della famiglia Pasolini interviene sul caso: Del delitto di Pasolini se ne è parlato molto e male, e questo ha contribuito a creare la divisione tra coloro che ricercano ad ogni costo la verità e coloro invece che si sono appagati della ricostruzione parziale dei giudici. Prosegue: Quello che è certo è il ritardo inescusabile con il quale la magistratura non riesce a far chiarezza sul delitto. Il 27 marzo del 2009 insieme alla criminologa Simona Ruffini presentavamo l’istanza volta a far riaprire le indagini. Venivano da noi richieste l’effettuazione di prove scientifiche quali esame del Dna sui reperti che mai prima di allora furono effettuate. Il 10 maggio del 2010 assistevamo presso i laboratori della sezione di Biologia dei Ris dei carabinieri di Roma all’esame dei reperti custoditi presso il museo criminologico di Roma. In seguito, Guido Mazzon, ha svolto numerose indagini difensive che hanno contribuito a fornire ulteriori elementi alla pubblica accusa. Il legale della famiglia Pasolini fa anche riferimento al lavoro sull’oro nero che lo stesso Pasolini stava portando avanti prima di morire, e i suoi contatti con gli ambienti di destra a Catania.