Salvador è la pellicola che anticipa quella con cui Oliver Stone viene consacrato a Hollywood: Platoon. Quest’ultima si aggiudica ben quattro premi Oscar e l’Orso d’Argento a Berlino. Salvador invece si accontentò della candidatura agli Oscar per miglior attore protagonista a James Wood e migliore sceneggiatura originale. L’esperienza della guerra unisce i due lavori che sono il chiaro frutto dell’elaborazione dell’esperienza reale in Vietnam del regista.
Richard Boyle è uno scapestrato, alcolizzato e fedifrago giornalista freelance che, arrivato ad un punto di estrema necessità, decide di partire per Er Salvador alla ricerca di scoop e servizi da farsi pagare caro. Arriva infatti, nel 1980, in piena guerra civile tra il regime militare anche sostenuto dagli Stati Uniti tra Carter e Reagan, e la resistenza armata comunista Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (FMLN). Insieme all’amico Dott. Rock (Jim Belushi), all’inizio il suo unico scopo è liberarsi dalle preoccupazioni e dagli obblighi occidentali per riuscire a sbarcare il lunario in un posto ancora selvaggio e semplice. Presto però si accorge di non poter rimanere indifferente a quello che gli succede intorno: attentati a civili innocenti, soprusi ai volontari arrivati per mantenere l’ordine, la sofferenza e la povertà. Si innamora di una donna del posto (Elpidia Carrillo) e decide di restare con lei, prendersi in carico anche i suoi figli di cui l’ultimo nato è dello stesso Boyle, e di portarla via da quell’inferno in cui la situazione precipita sempre di più con la complicità dell’Occidente che preferisce che si versi ancora sangue piuttosto che preoccuparsi che nel paese vengano rispettati i diritti fondamentali di ognuno.
La critica di Stone è principalmente per l’America ipocrita e ferocemente liberista di quell’epoca. Due episodi in particolare nel film vengono raccontanti come a voler schiaffeggiare lo spettatore ignaro: la violenza sessuale e il brutale omicidio delle suore americane missionarie da parte di alcuni uomini dell’esercito della giunta militare; e l’omicidio di Don Romero durante una messa per mano di un membro di uno squadrone della morte paramilitare.
Le informazioni su cosa stesse accadendo sul serio in El Salvador, così come in Guatemala, non furono subito portate a conoscenza dell’opinione pubblica, per questo inoltre, i giornalisti facevano molta fatica a muoversi e a lavorare nel paese, per non parlare dell’ovvio pericolo di incolumità. Alla fine del film, infatti, a fare da apice di crudeltà e sterminio: la Battaglia di Santa Ana fra le truppe governative e i guerriglieri comunisti in cui John (John Cassavage), il fotoreporter amico e collega di Boyle, perde la vita finendo colpito per sbaglio in uno scontro a fuoco.
A diluire l’aspetto di denuncia documentaristica in fine, il profilo del personaggio di Boyle mostra anche aspetti sornioni e talvolta bonariamente ridicoli, del totale disadattato a quella società che Stone vuole appunto criticare.
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