Con Benvenuti a Sarajevo Winterbottom è in nomination per la palma d’oro al 50° Festival di Cannes. E’ il primo esperimento di docu-fiction della sua carriera, al quale poi ne seguiranno altri come ad esempio The Road to Guantanamo del 2006.
La pellicola è del 1997, racconta di come un giornalista inglese, Michael (Stephen Dillane) insieme ad altri suoi colleghi riesce a salvare alcuni orfani durante i bombardamenti continui a Sarajevo durante la guerra nella disgregazione della Jugoslavia, portandoli in Europa e dandogli modo di essere adottati.
Il racconto della guerra è condotto in modo “schizofrenicamente naif”, cioè si avvale di diversi linguaggi e diverse rappresentazioni dell’umano. In tutta la prima parte del film la crudezza delle immagini quasi rubate è predominante insieme alla surreale indifferenza dei giornalisti interessati apparentemente soltanto ai loro servizi. Movimenti di macchina a mano da reportage si alternano ai filmati che mostrano il punto di vista delle videocamere dei personaggi , che ancora si alternano a immagini di repertorio che mostrano l’orrore di morti innocenti e di sofferenza inaudita, mentre i capi di Stato di tutto il mondo tergiversano con dichiarazioni inconcludenti. Poi ci sono i giovani di Sarajevo, che tra un bombardamento e l’altro, ancora pensano che “ci vorrebbe un bel concerto in città”. La colonna sonora in questo primo tempo non è solo una voce di accompagnamento, ma come un ulteriore personaggio (evidentemente il regista) arriva ad esprimere anche un certo sarcasmo quando Don’t worry be happy di Bobby McFerrin suona sorniona sulle immagini dei civili cadaveri.
Un giovane e dannato Woody Harrelson (True detective) è Flynn, giornalista americano che insieme ad altri progressivamente farà l’abitudine a quella dimensione temporale quasi sospesa, e a sprezzo del pericolo si lancia, col comune atteggiamento esibizionista americano, in operazioni pericolose come il tentativo di intervistare i prigionieri dei campi Cetnici (monarchici serbi).
Nella seconda parte del film si esprime l’aspetto più emotivo, Michael decide di aiutare Nina (Marisa Tomei) a portare via dagli orfanotrofi costantemente a rischio bombe, bambini anche piccolissimi. Il viaggio non sarà facile ma l’uomo riuscirà anche ad adottare Emira, una bambina di nove anni, e portarla nella sua Inghilterra.
Ad arricchire il cast in fine c’è Risto (Goran Visnjic) abitante di Sarajevo che fa da autista e interprete a Micheal nelle operazioni più difficili. Sono sue le considerazioni più significative che alla fine del film, a guerra inoltrata, confesserà all’amico giornalista: “Prima pensavo che la mia vita e l’assedio fossero realtà diverse, ora mi accorgo che non c’è vita a Sarajevo a parte l’assedio. L’assedio è Sarajevo”
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