Anni Settanta, Giovanni Garofoli è un italiano di origini ciociare che è emigrato in Svizzera per lavorare. Fa il cameriere in un ristorante di lusso, aspettando l’assunzione definitiva in modo da rinnovare il permesso di soggiorno e permettere alla sua famiglia di raggiungerlo. Accade un imprevisto che però ostacolerà i suoi piani e lo catapulterà in una serie di avventure miserevoli per riuscire a rimanere in quel paese così civile,elegante, e intransigente.
Questa la trama di Pane e Cioccolata, film del 1973 diretto da Franco Brusati e interpretato dall’immenso Nino Manfredi che in quell’anno ne aveva già alle spalle più di dieci di carriera nella commedia all’italiana, e insieme a Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi, Vittorio Gassman rappresentava l’icona che registi del calibro di Ettore Scola, Nanni Loy, Luigi Comencini, Vittorio De Sica, Dino Risi e tanti altri sceglievano per una rappresentazione grottesca e canzonatoria dell’italiano dalle umili origini, dall’animo genuino: sfigato, imbrogliato,servile, oppure furbetto e mascalzone, ma sempre un personaggio positivo e capace di riportare a sé una complice empatia.
Giovanni detto Nino Garofoli è un uomo sostanzialmente solo che con un approccio il più possibile ottimistico prova ad ambientarsi in un paese straniero così diverso dal suo: austero, formale, pacato, freddo. Tiene molto ad essere scelto dal padrone del ristorante in cui lavora per l’assegnazione di un posto definitivamente a tempo indeterminato in modo da sentirsi integrato una volta per tutte. Ma per una distrazione che per noi italiani risulterebbe innocente, l’aver orinato cioè in un luogo pubblico contro un muretto, gli Svizzeri non gli rinnovano il permesso ed il padrone lo licenzia, inizia per Nino un’affannosa corsa nella clandestinità, cercando un altro lavoro, uno qualsiasi. Si imbatte in un ricco imprenditore italiano(un riccioluto Johnny Dorelli) che si è “rinchiuso” in Svizzera per non essere arrestato in Italia a causa di reati fiscali. L’uomo persuade Giovanni a consegnargli i soldi della liquidazione, raccontandogli, e qui è lampante la critica al capitalismo e agli effetti deleteri che conosciamo bene, che per diventare ricchi bisogna avere il coraggio di investire rischiando. Però il ‘grande imprenditore’ finirà in banca rotta e si suiciderà lasciando Giovanni in una situazione ancora più complicata. La bella Elena, rifugiata politica greca che lo aveva accolto in casa dopo il licenziamento, sarà la sua salvezza alla fine di un viaggio di formazione attraverso quella parte della Svizzera che Nino non conosceva ancora bene, fatto di un sottobosco di immigrati italiani disposti anche a vivere in modo abietto, senza coscienza sociale, ma nella convinzione di meritarselo. Nonostante Elena, Nino arriva comunque ad un punto in cui si sente sconfitto. Dopo averle provate tutte, anche fingersi Svizzero tingendosi i capelli di biondo (metafora dell’importanza meschina di apparire) deciderà di smettere di lottare, ma subito dopo, davanti allo spettacolo avvilente di alcuni napoletani nel treno di ritorno verso l’Italia che cantano “per dimenticare” restituendo la sconcertante condizione di chi ha rinunciato a volere di più e si è rassegnato, Nino fermerà il treno nel bel mezzo delle montagne e tornerà indietro pronto ad una nuova sfida.