Una ricerca eseguita dal Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche “Mario Serio” dell’Università di Firenze, ha descritto il meccanismo con il quale alcuni piccoli aggregati proteici attaccano le cellule nervose nel morbo di Parkinson. Una scoperta internazionale della quale fa parte il prof. di biochimica Fabrizio Chiti.
Ormai è noto che la malattia di Parkinson è una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale, il cui sintomo principale è costituito da un’alterazione del movimento volontario e automatico che diventa più lento e difficile; spesso si instaura il caratteristico tremore.
La Persona con Parkinson presenta numerose cause di sofferenza. Oltre la ridotta mobilità e le cadute, anche, disturbi del sonno, perdita delle abilità, disturbi dell’affettività e delle emozioni, difficoltà relazionali in ambito familiare e sociale fino all’isolamento, con una consapevolezza quasi sempre lucida dei cambiamenti.
È una malattia che costa ogni anno 2 miliardi e 345 milioni di euro.Solo la spesa giornaliera per i farmaci è di un milione di euro.
L’età media d’insorgenza della malattia di Parkinson è di 62,6 anni, ma nel 10% dei casi si manifesta prima dei 50. Il tasso d’incidenza varia tra gli 8 e i 18 casi/100.000 anno e aumenta con l’età. Il tasso di mortalità è pari a 2-6 casi/100.000 anno. Nel 2007 in Italia si registrano circa 200 mila casi.
La ricerca pubblicata sulla nota rivista Science descrive l’analisi strutturale di queste due forme di molecole, chiamate oligomeri di a-sinucleina, e la loro azione sabotatrice ai danni del sistema nervoso.
Isolando questi due molecole ed effettuando i test di tossicità sono riusciti a scoprire i meccanismi tossici alla base dei sintomi della malattia. Lo studio coordinato da Alfonso De Simone dell’Imperial College di Londra (Regno Unito) con la partecipazione di diversi laboratori situati presso l’università di Cambridge, di Saragozza e di Southampton, si sono proposti di studiare i processi di interazione tra queste due molecole e le membrane biologiche, grazie a complesse tecniche di risonanza magnetica in soluzione allo stato solido, oltre ad altri metodi di indagine biofisica.
La comprensione dell’aspetto strutturale ha chiarito in che modo gli oligomeri interagiscono con le cellule nervose causandone il danno.