Un gruppo di ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma guidati dal neurologo Alfredo Berardelli, hanno scoperto che un semplice esame della saliva ci consentirà di diagnosticare il Parkinson e la sua progressione nel tempo. Si tratta di una scoperta – riporta Berardelli – che sarà molto utile nella diagnosi e nella pratica clinica per valutare l’andamento nel tempo della malattia aiutandoci a stabilire le strategie terapeutiche migliori per ogni singolo paziente. La ricerca pubblicata sulla rivista PLOSone, è stata posta al centro del II congresso tenuto dall’Accademia italiana LIMPE- DISMOV per lo studio del Parkinson e di altri disturbi del movimento.
Come sappiamo nella malattia del Parkinson ad essere danneggiata è la proteina alfa-sinucleina che normalmente risulta essere funzionale per il rilascio di neurotrasmettitori consentendo in questo modo la comunicazione tra le sinapsi, in particolare questa proteina è in grado di legarsi alla dopamina, cruciale per il controllo dei movimenti e carente nei pazienti con Parkinson. Si verifica dunque una perdita di neuroni generalizzata nella substanzia nigra, accumulo di proteine ubiquitinate nel citoplasma dei neuroni, accumulo di aggregati proteici nei neuriti ( Corpi di Lewy).
Sono 250mila gli italiani affetti dal morbo di Parkinson e con 6mila nuovi casi ogni anno per un’incidenza destinata a raddoppiarsi in 15 anni. Gli anziani risultano essere la fascia più colpita, tuttavia si sono registrati casi in cui 1 persona su 5 manifesta i sintomi prima dei 50 anni. Misurare i livelli di tale proteina prelevando un campione di saliva secondo il presidente dell’Accademia rappresenta – un grosso passo avanti rispetto alle complesse misurazioni di scarsa manegevolezza effettuate finora nel liquor tramite puntura lombare, che è invasiva, dolorosa e scarsamente ripetibile. La riduzione dei livelli di alfa-sinucleina è rilevabile direttamente dalla saliva, e tale parametro si correla proporzionalmente alla gravità del quadro motorio.
Tuttavia non basta. Servono altri studi che integrino il marker più semplice e meno invasivo della saliva con una tecnica terapeutica denominata Stimolazione cerebrale profonda (Dbs) che aiuta, attraverso microimpulsi elettrici aiutano a riattivare i neuroni riportandoli alla condizione originaria. Dunque sono quanto dichiarato dal team dei ricercatori serviranno in ogni caso altri test per confermare il risultato dello studio.