Manca poco al via della nuova mostra di Paolo Maccari: ritratti e autoritratti; una sfilata di celebrities tra le più scomode in circolazione; scatti iconici scomposti in geometrie sfaccettate; quindici lavori a acquerello realizzati nell’ultimo anno e mezzo. L’esposizione, presso il Wine Bar Camponeschi di Roma.
Architetto, storico dell’urbanistica, Maccari dà vita nel 2014 a una ricerca dove l’estetica social, il narcisismo e la provocazione del selfie, la cultura kitsch da magazine popolare si fondono. Ne nascono centinaia di volti, dapprima di sé, poi di amici e di star del web, infine di personalità alla ribalta per la propria discutibilità.
Tutto incomincia da ironici autoscatti che pubblica a raffica su Instagram: con uno strano corno in fronte; con uno scopino in mano; più spesso a petto nudo e in mutande; circondato da fiori in pose improbabili. Attraverso un erotismo e uno humour non troppo velati gioca (e si identifica) con gli stereotipi della notorietà 2.0. Cosa resterà dello tsunami di immagini che inonda la rete? Che valore hanno? «Voglio strappare alla virtualità i bite dei nostri ritratti, voglio portarli nel mondo reale»: da qui le fotografie vengono trasposte su carta. L’acquerello, tecnica prediletta dall’autore, col suo caos e la capacità di cambiare di tono e intensità col tempo, si combina a tratti spigolosi e stilizzati. Le espressioni caratteristiche e sfacciate con una elevata dose ornamentale.
La serie successiva rappresenta “amici”, follower, contatti, di frequente cinquantenni, non moderni Peter Pan ma adulti che non vogliono riconoscersi come tali. I temi indagati sono quelli della dipendenza da social e dell’uso (s)considerato dei mezzi di relazione; le insicurezze e la paura, in fondo, di morire senza aver lasciato alcuna traccia. “Sempre con quel coso in mano” ne è la sezione più recente: ancora ex ragazzi, svestiti, di fronte allo specchio… continuamente con il telefonino, appunto, in mano. «Pose che vogliono mandare messaggi erotici» ma che ne espongono invece la parte più vulnerabile. Di fronte al «pubblico».
Per la mostra presso il Wine Bar Camponeschi intitolata D’io – un racconto autobiografico e un lavoro sull’ambiguità della cura delle apparenze – presenta cinque autoritratti che si mescolano alle raffigurazioni di celebrità. Non icone di stile e sobrietà ma personaggi che hanno creato scandalo, che hanno turbato in qualche modo il comune pensare, antieroi o semplicemente simboli di vacuità e eccessi. Dalle riviste di gossip e patinate alla carta Fabriano. L’atteggiamento sfacciato; l’abbigliamento esuberante; un ruolo sociale ricoperto con ottusa ingenuità o sfrontata risolutezza. E la posizione dell’artista è di empatico coinvolgimento, nella volontà di fermare dal flusso delle informazioni ogni strategia di sopravvivenza.