(Adnkronos) – Nel 1928 l’inflazione si calcolava sui prezzi dello strutto, dei pennini e dell’inchiostro, sulle spese per affitti ma anche per le organizzazioni sindacali, per l’olio di ricino, la farina di lino e il cremor di tartaro (un lievito estratto dall’uva). Sono quasi cent’anni che si usano panieri sempre più ampi per valutare l’andamento dei prezzi, ma guardare all’indietro nelle tabelle fornite dall’Istat è come fare un viaggio in un’Italia inevitabilmente diversa.
Se la revisione 2024 inserisce fra i beni alimentari monitorati le mele kanzi e l’uva Vittoria, cento anni fa il paniere valutava una generica ‘frutta’, e questo è anche un indicatore della profonda trasformazione della società (anche se ovviamente nel 1928 la quantità di tipologie di frutta disponibile agli italiani era non meno vasta, eccezion fatta per i prodotti più esotici).
Ma a colpire sono anche nomi ormai desueti, a volte incomprensibili ai consumatori moderni: si va dal Madapolam per biancheria (una tela di cotone originaria dell’omonima città indiana) al Drap nero (un tessuto di lana a pelo liscio e setoso), dalle Cheviottes per uomo (una lana fine di pecora scozzese) al Gabardine nero per donna. Ma a raccontare molto dell’Italia di cento anni fa c’è anche la valutazione dei prezzi del Carbon coke per cottura cibi (una prassi decisamente poco ecologica) o della carta protocollo in riga.
Negli anni successivi ovviamente la valutazione si allarga, entrano le sigarette e le pentole in alluminio, e poi negli anni ’50 e ’60 anche le camere d’albergo e i viaggi aerei. Fino a All you can eat. Che nell’Italia dello strutto era un’idea più o meno fantascientifica.
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