Grazie a uno studio internazionale a cui ha partecipato l’Istituto per la dinamica dei processi ambientali del Consiglio nazionale delle ricerche (Idpa-Cnr), pubblicato su ‘The Cryosphere’, è stato rilevato che il ghiaccio più profondo e antico presente sul Monte Ortles (3.905 m, sulle Alpi orientali, a 37 chilometri dal luogo del ritrovamento dell’Uomo del Similaun), ha cominciato a muoversi per la prima volta dai tempi dell’Uomo del Similaun, 7.000 anni fa. Le prime carote di ghiaccio estratte indicano come il ghiacciaio più elevato dell’Alto Adige abbia cominciato una fase di accelerazione del movimento che non avrebbe precedenti nel periodo osservato. Le prove vengono dagli strati più profondi, datati con la tecnica del carbonio 14, e da misurazioni condotte nel foro di perforazione mediante un inclinometro, strumento in grado di rilevare anche minimi movimenti glaciali. “Queste carote di ghiaccio offrono l’eccezionale opportunità di studiare le caratteristiche dell’atmosfera quando l’Uomo del Similaun viveva in questa regione, in modo da poter conoscere anche l’ambiente ed il clima in cui era immerso”, dichiara Carlo Barbante, direttore dell’Idpa-Cnr di Venezia.
La rapida fusione dei ghiacci è connessa al surriscaldamento globale. “I ghiacciai alpini si stanno ritirando velocemente a causa dell’intensa fusione legata al riscaldamento atmosferico”, aggiunge Paolo Gabrielli, ricercatore presso il Byrd Polar and Climate Research Center dell’Università dell’Ohio e responsabile dello studio. “I nostri risultati hanno messo in luce l’azione di un nuovo processo che potrebbe accelerare il flusso dei ghiacciai alpini anche alle quote più elevate, contribuendo a velocizzarne il ritiro. Con le carote di ghiaccio dell’Ortles potremo verificare precisamente come i cambiamenti ambientali in atto a livello regionale interagiscono con quelli climatici a livello globale”. Tra le informazioni custodite nel ghiaccio i ricercatori hanno identificato, ad esempio, il segnale delle deposizioni atmosferiche radioattive derivanti dall’incidente avvenuto presso la centrale nucleare di Fukushima, in Giappone nel marzo 2011, solo pochi mesi prima delle operazioni di perforazione sull’Ortles.
“Il movimento del ghiaccio più profondo potrebbe essere causato dalle infiltrazioni dell’acqua di fusione superficiale, a partire dai margini rocciosi a monte del sito di perforazione, e dal fatto che ora quest’acqua, durante le estati eccezionalmente calde, stia lubrificando la parte basale del ghiacciaio favorendone così il movimento”, continua Gabrielli.
I risultati della ricerca indicano che il ghiacciaio dell’Ortles, come lo conosciamo oggi, si formò circa 7.000 anni fa, alla fine del cosiddetto ‘Ottimo Climatico’ dell’emisfero settentrionale, un periodo particolarmente caldo durante il quale i ghiacciai alpini si ritirarono fino a quote elevate. Successivamente, l’inizio di un periodo più fresco, conosciuto come Neoglaciale, contribuì a far accumulare neve e ghiaccio sul suolo nuovamente congelato nei pressi della cima all’Ortles. Durante questo nuovo periodo climatico venne sepolta anche la mummia dell’Uomo del Similaun, che rimase nel ghiaccio fino alla fine dell’estate del 1991 quando emerse nei pressi del Giogo di Tisa, a 3.210 metri di quota. I ricercatori stanno analizzando i campioni di ghiaccio identificando gli isotopi stabili dell’ossigeno, gli ioni maggiori, le particelle di carbonio, i pollini, gli elementi in traccia e le polveri, parametri che potranno fornire importanti informazioni sulle condizioni climatiche a partire da 7000 anni fa. “Una delle carote estratte potrebbe divenir parte dell’‘Ice memory project’, un nuovo programma internazionale che ha l’obiettivo di trasportare carote di ghiaccio estratte dalle basse latitudini in un archivio internazionale situato in Antartide dove potranno essere conservate intatte per le generazioni future di scienziati” conclude il direttore dell’Idpa-Cnr, Barbante.
Le carote sono state estratte da un team internazionale di glaciologi guidati dall’Università dell’Ohio, col supporto logistico della Provincia Autonoma di Bolzano e la partecipazione diretta di ricercatori dell’Idpa-Cnr. Il gruppo di ricerca internazionale è formato inoltre da: Ohio State University e U.S. Geological Survey; Università di Venezia, di Padova, di Udine e di Pavia, Enea, Waterstones Geomonitoring; Central Institute for Meteorology and Geodynamics ZAMG e Università di Innsbruck in Austria; Laboratoire de Glaciologie et Géophysique de l’Environnement (LGGE), Cnrs e Università Grenoble Alpes in Francia; Paul Scherrer Institut e Università di Berna in Svizzera e Russian Academy of Sciences. La ricerca è stata finanziata da National Science Foundation Usa e Provincia Autonoma di Bolzano.