Sappiamo quanto la Storia scritta dagli uomini abbia nascosto e mistificato le figure femminili, ignorandone l’apporto ai grandi eventi o giudicandolo come marginale. Ma l’altra metà del cielo, nonostante la posizione di subalternità nelle società patriarcali e maschiliste, è stata capace di far nascere straordinari talenti nel campo del pensiero e dell’arte. Una di queste figure, Olimpe de Gouges, pseudonimo di Marie Gouze, nata a Mautaban, in Francia il 7 maggio del 1748 e morta a Parigi il 3 novembre del 1793, drammaturga, scrittrice e militante politica, vissuta nei tempi turbolenti della Rivoluzione francese, ci ha lasciato con i suoi scritti una testimonianza lucida e appassionata dei suoi tempi e della condizione femminile, oltre che una difesa accorata dell’abolizione della schiavitù. La sua strenua difesa dell’ uguaglianza tra uomini e donne le valse molti nemici, così come la posizione che assunse circa il matrimonio, la richiesta di instaurazione del divorzio e di partecipazione delle donne alla vita política.
Olimpe nacque da subito nel segno della trasgressione. Figlia di Pierre Gouze e di Anne Olimpe Mouisset venne a sapere molto giovane d’essere la figlia naturale del poeta Jean-Jacques Le Franc de Pompignan, padrino di sua madre. Nel 1765 si sposò con Louis-Yves Aubry, diventò madre e subito dopo vedova. Non si risposerà mai più, considerando il matrimonio come la tomba della fiducia e dell’amore. Rifiuterà i numerosi corteggiatori che il suo fascino attirava, versando tutte le sue energie nell’educazione del figlio, nella lotta politica e nello sviluppo e affermazione del suo talento.
Dal 1778 cominciò a scrivere commedie per il teatro, passione che la accompagnò tutta la vita. Il suo fu soprattutto teatro politico molto rappresentato ai tempi della rivoluzione.
Pubblicò inoltre nello stesso anno Reflexiones sur les hommes nègres (Riflessione sugli uomini neri), un’analisi documentata e profonda della loro condizione umana, sociale e politica e la commedia che la rese celebre l’Esclavage des Noirs (La schiavitù dei neri) pubblicata nel 1792 e inserita nel repertorio della Comédie-Française col titolo di Zamore e Mirza, o il felice naufragio. Questa commedia e un’altra intitolata Le Marché des Noirs (1790) (Il mercato dei Neri), come anche le sue Riflessioni sugli uomini negri (1788) le permisero di entrare nella Società degli amici dei Neri, creata nel 1788 da Brissot, che lottava per l’abolizione della schiavitù.
Nella sua famosa Lettera al popolo presentò un significativo e radicale programma di riforme sociali e negli altri opuscoli politici e dibattiti sui giornali si rivolse ai rappresentanti delle tre principali legislature della Rivoluzione per incitarli a mantenere equilibrio di giudizio e a non trasformare la ghigliottina in un mezzo di vendetta cieca e dissennata. Si pronunciò inoltre a favore di una monarchia costituzionale e si offrì di difendere il re in un tribunale giusto. La sua richiesta fu rigettata dalla Convenzione con l’affermazione che nessuna donna era in grado di assumersi responsabilità socio-politiche tradizionalmente riservate agli uomini. Fu inoltre storicamente tra le prime persone che promossero un sistema di welfare, teso alla protezione materna e infantile, alla rimozione della disoccupazione e alla creazione di alloggi per i non abbienti e ricoveri dignitosi per i mendicanti.
Nel 1791 scrisse la Dichiarazione dei Diritti della Donna e della Cittadina, il cui primo articolo afferma: “La donna nasce libera e permane uguale all’uomo nei suoi diritti. Le Distinzioni sociali possono essere fondate nell’utilità comune”.
Nel novembre del 1773 fu imprigionata con l’accusa di aver difeso i girondini che in quel tempo erano perseguitati dalle forze estremiste della rivoluzione e di aver affermato la necessità di uno Stato Federale e dopo un processo sommario e ingiusto fu ghigliottinata. Fermamente convinta del ruolo che le donne avrebbero potuto avere in politica, le sue ultime parole prima di salire al patibolo furono: “Se la donna può salire al patibolo, le si deve riconoscere anche il diritto di poter salire sulla Tribuna”.
Olimpe de Gouges dovette subire, come la maggior parte delle donne che non restavano chiuse nel loro ruolo di mogli e madri, numerosi pregiudizi e ostracismi di vario tipo, pur trovandosi ad agire nel cuore di una rivoluzione che aveva come principio fondatore la creazione di una società libera e giusta. A questa ideologia aveva aderito senza dogmatismi e conservando intatta una capacità di giudizio critico che nessuno seppe mettere a tacere. Fu tacciata persino di prostituta e cortigiana per la libertà mostrata nella sua vita personale e nell’espressione delle sue idee.
Solo dopo la fine della seconda guerra mondiale si cominciò a studiarne la figura e a riscattarla dall’oblio, soprattutto negli Stati Uniti, in Giappone e in Germania, riconoscendone l’originalità di pensiero, il coraggio e l’onestà intellettuale che ne fanno una dei più grandi umanisti della fine del Settecento.
Paradossalmente in Francia, sua terra natale, per il bicentenario della Rivoluzione solo in parte le sono stati riconosciuti alcuni meriti ma senza una vera e propria rivalutazione della sua statura di intellettuale. Ripetutamente alcuni storici hanno chiesto che le sue ceneri, che riposano nel Cimitero della Madeleine, fossero portate al Pantheon ma senza risultato. La sua persona continua a non essere ufficialmente riabilitata, dopo che nel 1989 il Presidente Jacques Chirac rifiutò che il suo nome figurasse nel Pantheon delle Glorie nazionali.
La sua morte avvenuta per opera della ghigliottina fu una delle grandi ingiustizie di cui si macchiò la rivoluzione francese: la sua unica colpa fu di essersi opposta all’ esecuzione del re Luigi XVI e di aver attaccato il Comitato di salute pubblica per la repressione spietata di ogni dissidenza e per l’involuzione liberticida con la quale andava uccidendo i suoi figli migliori.
In lei le tre parole chiave “liberté, égalité, fraternité” si incarnano in un pensiero coerente e autenticamente democratico che se fosse stato messo in atto non avrebbe generato né il periodo del terrore né la fine degli ideali rivoluzionari con l’epopea napoleonica.