Nella Cina della dinastia degli Zhu (tra il 500-400 a.C.) un umile pensatore dà vita al confucianesimo, una filosofia di vita che crede nei riti, nei valori sociali, nella rettitudine e nelle gerarchie. Esso si contrappone al taoismo, un’altra grande scuola di pensiero cinese, più o meno nata nello stesso periodo, in quanto quest’ultimo si distacca dalla vita sociale, dalla politica e dai riti, una specie di anarchismo cinese.
Quest’uomo, tarchiato, con un bel faccione grasso, si chiama K’ung-fu-tzu (“Maestro K’ung”. Ora comprendo l’origine della denominazione del kung fu), nome latinizzato in Confucio, un filosofo che ha fatto dell’etica la sua bandiera, alla pari dell’impegno politico e al rispetto delle regole. I suoi scritti, raccolti col titolo di Dialoghi, sotto forma di aforismi, spesso smilzi e pungenti, tendono al perfezionamento politico-sociale, alla lealtà verso se stessi e gli altri, un modo di pensare alla vita con moderazione per un disinteresse personale alla pratica politica e sociale a favore della comunità di una fratellanza universale.
Nei suoi scritti sembra che manchi il piacere della vita a favore di una rettitudine morale, si prende tutto sul serio. Che cos’è per lei il piacere?
Ci sono tre tipi di piaceri vantaggiosi e tre di piaceri nocivi. I primi consistono nel trarre piacere dai riti e dalla musica, dalla compagnia di numerosi amici di valore, e dal parlare dei lati positivi delle persone. I secondi consistono nel darsi a un lusso arrogante, all’ozio e a una vita dissipata.
Le troppe restrizioni, i troppi doveri, non aumentano oggi la già quasi endemica solitudine dell’essere umano?
No, perché l’uomo saggio mangia senza ingozzarsi e vive senza grandi comodità. Egli è diligente in ciò che fa, prudente in ciò che dice e si sforza di correggersi tenendo a modello coloro che possiedono la Via. Così è l’uomo mosso da un vero desiderio di istruzione.
Già, la Via. Come no! La Via di Dio? Ma io parlavo di solitudine.
Tutto passa come quest’acqua; non c’è niente che si fermi, né di giorno né di notte. Perché un uomo dovrebbe fermarsi alla solitudine?
Qual è la via, quella umana, intendo, che può indicarci per uscire oggi dal pantano dell’indifferenza, dalla corsa esclusiva verso il potere economico a discapito dei valori della vita?
La Via dell’uomo saggio consiste in tre cose, di cui io sono ancora incapace: la virtù, che scaccia ogni inquietudine, la saggezza, che dissipa ogni incertezza, e il coraggio, che libera da ogni timore.
Maestro, per concludere. Lei, che mi sembra tutto d’un pezzo, riprensivo, ha mai fatto qualche stravaganza?
Nella pratica del bene, non essere secondo a nessuno, fosse pure il tuo maestro.
Oggi sembra una stravaganza anche essere un uomo di princìpi. È d’accordo?
Certo. In un mondo in cui il niente vuol essere qualcosa, il vuoto vuol essere pieno e la mancanza abbondanza, dove trovare un uomo di princìpi?
Maestro, ma lei mi sembra un po’…
Fuori tempo?
Già! Ci è o ci fa?
Purtroppo, un intellettuale non è mai nel suo tempo, è sempre a posteriori. Quanti capirebbero la sua arte? Amico mio, non ci sei ancora arrivato! Tu, amico mio, tieni alla tua pecora; io, tengo al rituale. […] Ciò che non vuoi sia fatto a te, non farlo agli altri. In tal modo, non susciterai nessuna ostilità, che tu sia al servizio dello Stato o di una grande famiglia.
Sarebbe molto più bello se anche i potenti della terra sapessero questo suo pensiero. Perché, secondo lei, la vita deve essere un rituale?
Senza rituali, la gentilezza diventa fastidiosa, la prudenza timorata, l’audacia ribelle e la rettitudine intollerante. Se i governatori saranno esempi di sollecitudine […], il popolo tenderà naturalmente verso il bene; se saranno esempi di fedeltà alle vecchie amicizie, il popolo non sarà mai cinico.
Lei parla spesso di uomo completo, degno di stare in società. Chi è per lei “l’uomo completo”?
È un uomo che sa essere nello stesso tempo critico, esigente e affidabile: critico ed esigente verso gli amici, affidabile verso i suoi fratelli.
Un altro dato importante della sua filosofia si basa sulla virtù. Quale virtù oggi è praticabile?
Fare le cose più difficili senza pensare alla ricompensa […] Inflessibile, risoluto, semplice di spirito e parco di parole: ecco chi è vicino alla virtù suprema.
Come si nota che lei proviene da un’altra epoca! Qui si pensa prima alla ricompensa è poi a fare le cose. Qui siamo a Napoli. Maestro! E il saggio, cosa ci dice del saggio?
Uomo saggio è colui che non ha né ansie né timori […] L’uomo saggio mangia senza ingrassarsi e vive senza grandi comodità. Egli è diligente in ciò che fa, prudente in ciò che dice […] L’equità è l’essenza del saggio.
A trovarlo, oggi! E un maestro, un maestro di vita, uno che sappia tracciare la Via del progresso?
Un buon maestro è colui che, pur ripetendo l’antico, è capace di trovarvi aspetti nuovi.
E “l’uomo da poco” che lei spesso cita? Sapesse quanti ce ne sono dove vivo io! Dei veri stronzi! E gli faccio un favore con questa esclamazione.
L’uomo da poco comincia con il compromesso senza giungere all’armonia.
Confucio si allontana, ma prima di sparire aggiunge: «Non temere di restare sconosciuto agli uomini, ma di non conoscerli […] I giorni e i mesi passano; e gli anni non si arrestano certo ad attenderci». Cosa ha voluto dire? Beh, lasciamo stare.