Dalla provincia di Catanzaro arriva un nuovo Presidio Slow Food: il fagiolo di Cortale. Anzi, in un certo senso ne arrivano cinque, perché tanti sono gli ecotipi di questo legume interessati dal progetto. Parlando di fagiolo cortalese, infatti, intendiamo cinque diverse varietà: la reginella bianca (detta “ammalatèddha”), la reginella gialla, la cannellina bianca (o rognonella per la forma simile a un rene), la cocò gialla (nota anche come “limunìdu”) e la cocò bianca.
Una ricetta tipica per ogni varietà di fagiolo
Cortale, dove vivono meno di duemila abitanti, è situato nel centro dell’istmo di Catanzaro, il punto più stretto della Calabria. Trentacinque chilometri appena che dividono il Mar Ionio, a est, dal Mar Tirreno, a ovest. La cittadina di Cortale, in particolare, è posta tra il torrente Pilla e il fiume Pesipe: un’area particolarmente fertile, ricca di acqua, storicamente vocata all’olivicoltura e alla coltivazione di grano, mais, ortaggi e soprattutto dei rinomati fagioli. «Di queste colture si ha notizia fin dagli anni Trenta del Novecento» spiega Alberto Carpino, referente per la Calabria dei Presìdi Slow Food, e secondo alcuni documenti anche in epoche più lontane, databili intorno alla fine dell’Ottocento.
Di certo c’è che il territorio ha una profonda vocazione per i fagioli, un legame testimoniato dai molti utilizzi in cucina da parte delle famiglie di quest’area. Per ogni varietà c’è una ricetta tipica: la cocò gialla si gusta lessa e condita con un filo d’olio extravergine d’oliva, mentre la reginella si sposa alla perfezione con la pasta corta. La cannellina si cucina spesso con le scilatelle, tipico primo piatto calabrese; le cocò, invece, si esprimono bene nella tradizionale zuppa di funghi e fagioli. E poi, naturalmente, c’è la fagiolata: «L’immagine alla quale sono più legato è un ricordo di quand’ero bambino: quella della pignatta, il contenitore di terracotta utilizzato per cuocere i fagioli sul camino di casa» ammette Carpino.
Nonostante i molti utilizzi, negli scorsi decenni la produzione è andata lentamente diminuendo, a causa dello spopolamento e dell’arrivo di altre varietà di fagioli.
Negli ultimi anni, però, l’amministrazione comunale, guidata dal sindaco e agronomo Francesco Scalfaro, ha valorizzato i semi conservati dai contadini custodi, scommettendo sul progetto del Presidio Slow Food come strumento di valorizzazione del prodotto e del territorio, della protezione della biodiversità e della tutela dei produttori, che oggi sono una dozzina.
Le superfici coltivate (tutte in biologico) rimangono tuttavia ancora piuttosto ridotte.
«Nella sola Cortale, complessivamente abbiamo circa 7 ettari di terra coltivata a fagiolo, a cui si aggiungono alcuni terreni nei comuni limitrofi di Jacurso, Maida e San Pietro a Maida» prosegue Carpino.
Un patrimonio da non disperdere
«La prima persona a parlarmi di questo fagiolo è stata una signora di Cortale, una produttrice che qualche anno fa mi spiegò di come la sua famiglia coltivasse i fagioli da generazioni, ma sempre con un metodo molto artigianale, senza alcun aiuto della tecnologia» ricorda Mariangela Costantino, referente per la biodiversità della condotta Slow Food di Lamezia Terme. La semina, la raccolta, la battitura e la “spulicatura”, cioè la selezione dei fagioli migliori, avvengono infatti manualmente. Proprio quest’ultima fase, nella quale si tengono da parte i fagioli da seminare per il raccolto dall’anno successivo, è un momento molto atteso: «È abitudine invitare a casa propria l’intera famiglia, sedersi attorno al tavolo tutti insieme e scegliere i legumi migliori – prosegue Costantino – È una festa, un’occasione di incontro, una vera tradizione».
Adottare un metodo di produzione così spiccatamente manuale, o addirittura «arcaico» per usare le parole di Carpino, se da un lato rappresenta una peculiarità certamente da conservare, dall’altra può rappresentare anche un rischio: «Il fatto che la produzione non fosse assicurata da vere realtà economiche, ma da persone spesso anziane che coltivano queste varietà soltanto per arrotondare lo stipendio vendendo i fagioli alle fiere di paese, quando non per mera passione, ha fatto sorgere in me il timore che questo patrimonio gastronomico, culturale e sociale potesse andare perduto» aggiunge Costantino.
Verso il futuro
Scongiurare questo pericolo è lo scopo della Comunità Slow Food del Presidio fagioli di Cortale, a cui aderiscono i produttori, quattro ristoratori e altrettanti sostenitori: «L’obiettivo è far crescere la consapevolezza del valore che hanno questa terra e questa coltivazione, e al contempo anche mettere in guardia dal rischio di perderlo – prosegue Costantino – Vogliamo invogliare i produttori a investire in una linea di lavorazione, introducendo macchinari come seminatrici di precisione e facendo sì che condividano queste tecnologie tra di loro».
Non si tratta di stravolgere il modo di lavorare, ma di favorire l’utilizzo di alcune strumentazioni affinché quella dei fagioli di Cortale sia un’attività che assicuri un reddito: «Se le persone del posto intendono dare un futuro a questa produzione, l’utilizzo di macchinari che agevolano la lavorazione in tutte le sue fasi è indispensabile, così come un adeguato packaging per la commercializzazione del prodotto, che gli consenta di distinguersi e farsi riconoscere dal consumatore» conclude Rosanna Caglioti, portavoce della Comunità. «La pandemia di Covid-19 può rappresentare per molti giovani l’occasione di ripensare alle proprie abitudini e stili di vita, sposando questo progetto agricolo. Occorre però che vi siano concrete possibilità e opportuni condizioni per renderlo possibile».
L’area di produzione dei fagioli di Cortale Presidio Slow Food comprende il comune di Cortale e alcune aree confinanti dei comuni di Jacurso, Maida e San Pietro a Maida, in provincia di Catanzaro.