Un quarto delle aziende europee pensa di spostare i propri investimenti ad altri Paesi in via di sviluppo. Come ha spiegato in un’intervista a Bloomberg , Eswar Prasad, economista della Brookings Institution ed ex capo dipartimento per la Cina del Fondo monetario internazionale, “il rallentamento della Cina può avere ripercussioni per il resto del mondo, ma soprattutto la crisi dell’Europa sta incidendo sulla Cina”
Quasi un quarto delle aziende europee presenti in Cina, sta valutando la possibilità di trasferire la produzione in altri paesi per via delle pressioni crescenti legate all’aumento del costo del lavoro e al peggioramento normativo. È quanto è emerso dall’indagine della Camera di commercio europea a Pechino sulla “Business Confidence” condotta a febbraio e dallo studio Roland Berger. Il 22% dei 557 intervistati ha espresso la possibilità di trasferire i propri investimenti in altre economie in via di sviluppo, come quelle in Sud-Est Asiatico e in Sud America anche se il paese asiatico resta un fondamentale polo d’attrazione. Non ci troviamo più di fronte alla Cina umiliata e sottomessa della seconda metà dell’800, la stessa che “permetteva” alle potenze straniere di fare il bello ed il cattivo tempo nel Paese di Mezzo tramite l’installazione di banche e società d’affari su interi quartieri cinesi. D’altronde, come ha spiegato in un’intervista a Bloomberg , Eswar Prasad, economista della Brookings Institution ed ex capo dipartimento per la Cina del Fondo monetario internazionale, “il rallentamento della Cina può avere ripercussioni per il resto del mondo, ma soprattutto la crisi dell’Europa sta incidendo sulla Cina”. Ma per Davide Cucino, presidente della Camera di Commercio dell’Unione Europea a Pechino, non è detto “che la diminuzione degli investimenti diretti dall’Europa sia completamente legato alla crisi” dell’Eurozona. Nel 2011 il salario medio dei lavoratori cinesi urbani impiegati in “aziende non private”, è cresciuto in media dell’8,5%, mentre quello dei dipendenti di aziende private è aumentato del 12,3%. soprattutto all’altissimo turn-over del personale cinese che difficilmente si lega ad un’azienda, visto che è pronto a lasciarla per un aumento di 10 euro. Ci sono circa 1500 aziende italiane in Cina, di cui addirittura più di mille (l’80%) nella sola circoscrizione consolare di Shanghai, comprendente però pure le province dello Zhejiang, Anhui e Jiangsu.
Fonte: Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore†e  “Sportello dei Dirittiâ€