Rinnovato il consueto appuntamento del centro studi SRM nella città partenopea. Il dibattito, moderato dal direttore de Il Mattino Alessandro Barbano, ha coinvolto attivamente autorità portuali, enti di ricerca come il CNR rappresentato dal suo Presidente Luigi Nicolais, docenti come Michele Acciaro, professore di Logistica Marittima presso la KLU di Amburgo e tra gli altri Oliviero Baccelli, Direttore CERTeT Bocconi, Sghir El Filali dell’ANP, Agenzia Nazionale dei Porti del Marocco di Casablanca, Paolo Scudieri, Presidente SRM.
A Massimo De Andreis è stato assegnato il consueto compito di presentare i dati statistici e l’analisi dell’economia marittima italiana che sono confluiti nel secondo Rapporto Annuale 2015. In primis è emerso una verità inconfutabile: il Mar Mediterraneo è sempre più centrale. ll traffico navale di merci nel bacino MED è cresciuto, infatti, di oltre il 123% negli ultimi 13 anni, con un transito di circa il 19% del traffico navale mondiale (+4% rispetto al 2005). Troviamo altresì una stretta correlazione tra crescita economica e traffico dei container: i primi 30 porti del Mediterraneo hanno movimentato nel 2013 ben 44 milioni di TEU (unità di misura del Container), con un aumento del 382% rispetto al 1995 e l’acquisizione di una quota di mercato container del 33%.
Osservando attentamente gli ordinativi delle nuove navi, si può evincere una netta tendenza all’aumento dimensionale del naviglio da parte dei cantieri navali. Si stima che nel 2018 avremo in mare ben 221 MegaShips con una dimensione variabile tra le 13,3 e 21 migliaia di TEU. E ciò potrà indubbiamente costituire un ulteriore possibilità di sviluppo , in vista anche del progetto, ormai certo, del raddoppio del Canale di Suez cosa che, secondo Maurizio Barracco, presidente del Banco di Napoli, “potrà avere un impatto estremamente positivo sul commercio marittimo e, se siamo bravi, anche sull’economia italiana e del Mezzogiorno”. Importante il ruolo di Banco di Napoli ed Intesa Sanpaolo che, sempre a detta di Barraco, “vogliono e possono essere un punto di contatto tra l’Italia, il Mezzogiorno e la sponda sud del Mediterraneo, dando supporto economico e finanziario alle imprese e agli operatori del settore”.
Il nostro è il primo Paese UE28 per trasporto di merci in Short Sea Shipping nel Mediterraneo con 204,4 milioni di tonnellate di merci e il terzo in Europa per traffici gestiti (con 460 milioni di tonnellate). Il settore marittimo nostrano vale oltre 43 miliardi di Euro di Valore Aggiunto (VA) e 800mila posti di lavoro con un interscambio di oltre 220 miliardi di euro di import-export pari al 30% delle merci in valore. Ben il 33,7% del valore aggiunto dell’economia del mare è prodotto nel Mezzogiorno (pari a circa 14,7 miliardi di euro) dove si trova il 38,6% degli occupati del settore. I porti del Sud-Italia movimentano il 45,7% circa del traffico dei container e il 47% del traffico merci. Via mare il 60% dell’interscambio italiano appartiene al Mezzogiorno (55 miliardi di euro).
Interessante è il confronto svolto tra la situazione italiana e quella di altre realtà portuali eccellenti come Amburgo e Tangeri che ha messo in luce le criticità dell’economia marittima italiana. Come ha giustamente osservato Barbano, vi sono 3 deficit di cui soffre il BelPaese: infrastrutturale, burocratica e fiscale. Primo driver strategico è infatti quello rivolto all’integrazione infrastrutturale e intermodale. Mancano adeguati sistemi ferroviari che colleghino porti all’entroterra e meccanismi di coordinamento volti alla razionalizzazione ed all’efficientamento delle risorse. Tempi morti e disorganizzazione sono nemici dello sviluppo. Secondo driver è l’attrazione di investimenti dall’estero ed in questo ambito le Free Zones , ossia le zone franche dove c’è un forte abbattimento delle imposte e un sistema burocratico semplificato come avviene in Marocco ad esempio, possono essere un fattore determinante per la crescita dell’economia marittima. Il terzo è invece un ripensamento della logistica come asset principale per lo sviluppo del Mezzogiorno. Un punto, questo, indispensabile per competere in Europa, presentando dei validi piani di investimento.
Altra questione, più complessa, messa in luce al convegno è stata poi la necessità, per il sistema italiano, di porre in essere una serie di regole istituzionali, una governance che funga da coordinamento e faro per le 24 diverse autorità portuali. Va rilevato che prima dell’avvento dell’attuale Governo non c’era nemmeno un Piano regolatore e che perciò stiamo forse remando finalmente nella giusta direzione.