Disabilità intellettiva, tratti autistici, ipotonia muscolare, ritardo nello sviluppo e linguaggio assente, o estremamente ridotto, sono le caratteristiche della sindrome di Phelan McDermid. I sintomi neurologici dei pazienti affetti da tale malattia, attualmente incurabile, sono causati dalla perdita di una copia del gene Shank3, che codifica per una proteina strutturale, localizzata nelle sinapsi del sistema nervoso centrale e coinvolta nella formazione delle spine dendritiche.
Uno studio coordinato da Chiara Verpelli e Carlo Sala dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (In-Cnr) di Milano, pubblicato su Molecular Psychiatry, ha aperto la strada ad un nuovo orientamento terapeutico della malattia. “Utilizzando sia un modello animale privo del gene Shank3, sia neuroni differenziati da cellule staminali ottenute da pazienti affetti dalla sindrome di Phelan McDermid, abbiamo chiarito che la proteina Shank3 è essenziale nel regolare l’attività del recettore metabotropo di tipo 5 (mGlu5) e che la sua assenza causa difetti funzionali in specifiche aree cerebrali”, spiega Verpelli, che prosegue: “Abbiamo inoltre dimostrato che il trattamento con una molecola, il Cdppb, in grado di aumentare l’attività del recettore mGlu5 corregge i difetti neurologici evidenziati nei topi geneticamente modificati per Shank3. Il nostro studio suggerisce che la modulazione positiva del recettore mGlu5 possa rappresentare un nuovo approccio terapeutico per migliorare i deficit cognitivi dei pazienti affetti da sindrome di Phelan McDermid e/o mutazioni del gene Shank3”.
Lo studio è stato realizzato anche grazie a un finanziamento di Telethon. Il laboratorio di Carlo Sala, che ha collaborato alla realizzazione del lavoro, è stato originariamente fondato dall’Istituto di neuroscienze del Cnr grazie al Career Development Award della Fondazione Armenise-Harvard.