«Mi pare di stare dentro un film della televisione». In “Notturno di donna con ospiti” la protagonista, Adriana Imparato interpretata da Giuliana De Sio, deve fare i conti con i fantasmi di un passato ingombrante. In una calda notte d’estate, monotona come tante altre, il suo inconscio incontra le inquietudini del presente materializzate sotto forma di corpi. Prima Rossana Cuomo, una vecchia compagna di scuola elementare (interpretata da Rosaria De Cicco) e Arturo, marito di lei (Andrea De Venuti), poi Sandro, il primo fidanzato di Adriana da cui aspettava un figlio ed ora ufficialmente amante di Rosanna (Luigi Iacuzio). Infine, il più interessante personaggio padre/madre di Adriana (Gino Curcione) simbolo della regressione generata dai mostri della memoria della protagonista. Ruccelo lascia che in questo spettacolo la realtà e la finzioni si influenzino a vicenda. Adriana è una donna sola, confinata nel suo matrimonio con il marito Michele (Mimmo Esposito) in un quartiere di periferia, in grado di trasformarsi progressivamente in una moderna Medea in preda ad una serie di incubi e di allucinazioni, braccata da presenze reali e fantasmi del passato che affollano la sua mente. Come nella tradizione delle protagoniste femminili dei testi di Ruccello – Adriana per “Notturno di donna con ospiti“; Ida in “Weekend“; e la segretaria protagonista di “Anna Cappelli” – ricoprono un ruolo di predestinate, compiono il loro ultimo atto nei confronti della vita e provano a vendicarsi di una vita dai contorni oscuri e violenti. La grandezza di Ruccello è stata quella di cucire all’interno di storie basate su degli stracci di vita quotidiana degli elementi surreali, perturbanti che innescano il meccanismo tragico.
Qual è la verità del disaggio di Adriana? La cultura degradata e lo scomparsa di una cultura originaria, legata alle radici dell’individuo. Nel caso specifico di questo notturno si sottolinea come la televisione – e non meno l’inquietante marchio commerciale “Harrison” – intrappola le libertà personali, infettando continuamente la realtà. Da diversi anni la televisione è entrata in teatro, nei cartelloni, nei festival, e produce una serie di prodotti culturali in grado di mantenere vivo il teatro stesso perché – cosa non da poco – riesce a fare entrare il pubblico in sala. L’amplificazione sostenuta da microfoni, attori provenienti dalle fiction e una regia che si cura della visione e non della percezione dello spettacolo, sembrano essere il risultato delle evidenze antropologiche fornite dall’autore di Castellammare di Stabia. Ruccello era in grado di far emergere nei suoi lavori questo scarto e poneva il teatro come alternativa ad consumo passivo del mondo circostante. “Ma noi, negli anni ’80, abbiamo anche il problema di essere competitivi con il cinema e la televisione che inondano lo spettatore di storie. Le nostre storie devono allora essere “diverse”, avere qualcosa che il cinema e la televisione non hanno” (Una drammaturgia sui corpi, in “Sipario” del marzo-aprile 1987). Oggi il teatro, la televisione e il cinema si assomigliano sempre di più e magari sono prodotti dalla stessa Harrison.