Nel 1945 viene pubblicato per conto di Einuadi ,come saggio, il libro “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi , militante antifascista condannato al confino nelle terre di Lucania, allora “finis terrae” di un’ Italia ancora troppo lunga. Il libro che avrà un enorme successo, racconta dell’incontro dell’intellettuale torinese con le dure terre dei contadini meridionali , condannati a una vita di dimenticanza e priva di riscatto uguale nei secoli e immutata negli orizzonti , dice Levi: “ … mi è grato riandare con la memoria a quell’altro mondo,serrato nel dolore e negli usi, negato alla Storia e allo Stato, eternamente paziente; a quella mia terra senza conforto e dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte.”…
…Cristo si è davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania.
Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l’anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia…
…in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore
terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli…
La vita dei contadini osservati da Levi ,si svolgeva in un costante e incombente rapporto magico con il mondo circostante, vuoi per le “fattura d’amore” ,contro le quali viene invitato a difendersi, vuoi per i gesti quotidiani che cercano di contenere sulla terra l’invadenza di un mondo invisibile con il quale si “deve” mediare il rapporto. Il racconto del perché non venga spazzata la casa la sera e si tenga la sporcizia dietro la porta per tema di lanciare la stessa contro l’angelo che deve proteggere la casa che arriva col tramonto è emblematica.
Questo rapporto magico con il mondo circostante, spinge uno studioso napoletano , che già aveva esplorato il magico e l’abbandono nelle società pre-storiche, a organizzare una serie di spedizioni antropologiche e multidisciplinari nelle terre di Lucania e Puglia , sulle tracce del rito e della taranta.
Le spedizioni produrranno una serie impressionante di riflessioni confluite in libri di assoluto valore e che travalicano gli studi settoriali e antropologici per proiettare una luce illuminante sulla società contadina meridionale in primis e sulle speranze dell’umanità in generale. I saggi SUD E MAGIA e poi LA TERRA DEL RIMORSO e il postumo LA FINE DEL MONDO sono tre opere imprescindibili per chiunque voglia avvicinarsi con occhio limpido alla “quistione “meridionale, come diceva Gramsci.
Alla base della ricerca Demartiniana, resta la “Presenza” intesa come capacità di dare risposte adeguate in un dato momento storico, la “Crisi della Presenza” così come definita da De Martino risulta allora essere la perdita stessa dell’universo e del proprio mondo e viene recuperata attraverso riti e rituali nei quali la comunità intera si riconosce e assiste chi viene meno.
L’esperienza delle TARANTATE , da De Martino e dalla sua equipe ,intervistate e seguite nel corso degli anni, è in questo senso significativa e assoluta, sia per la vicinanza territoriale a quei luoghi ,il salento, sia per la vicinanza temporale, siamo nel 1959 e le spedizioni si protrarranno per molto tempo. Un paese pronto a lanciarsi nell’avventura dell’industrializzazione e del miracolo economica, conserva ancora nelle campagne echi di un mondo che si riteneva perso e relegato negli anfratti dei secoli.
La vita di stenti e di miseria delle contadine salentine, offriva come unica fuga e unico orizzonte la malattia mentale o il morso della taranta, vale la pena ricordare che mai nessun ragno che abita queste terre ha mai prodotto quegli effetti con un morso, animale mitologico e quindi “reale” e da tutti conosciuto. La morsicata si liberava dagli effetti del morso dopo un rituale di suoni e balli e colori, che si protraevano anche per giorni. I musicanti, dilettanti, venivano convocati nella casa dove si riteneva che gli strani comportamenti della persona fossero il frutto del morso e con variazioni su tema sonoro e timbrico veniva individuato il tipo di ragno che rispondeva a determinati suoni, poi con l’esibizione di pezzuole e nastri colorati se ne individuava il colore e da quel momento in reiterate e continue sessioni musicali che duravano anche giorni, la tarantata, si abbandonava alla mimica del ragno e alla possessione fino a sfinirsi e a “guarire”. Salvo risentire il morso il 29 giugno, giorno di san Paolo, quando tutte le “morsicate” , ma anche qualche “morsicato” venivano condotti alla chiesa si San Paolo a Galatina dove prendevano possesso dello spazio antistante la chiesa e della chiesa stessa , arrampicandosi sugli altari, orinando sui marmi, e lanciandosi in improperi incomprensibili, chiedendo la grazia di essere liberati dal morso…
Chi era “morsicato” era praticamente condannato per la vita a tornare a Galatina a rinnovare la richiesta di liberazione, sentendo su di se il RIMORSO, la reiterazione del morso. Alcune donne emigrate negli anni 60 al nord e rintracciate da De Martino e intervistate con la tecnica dello “specchio segreto” confessavano che vivevano ancora nel terrore del RIMORSO e che non accendevano la radio per non essere colpite da quella particolare frequenza sonora o sequenza di suoni che di sicuro avrebbero scatenato la crisi, questo in un posto dove nessuno era “abilitato” a riconoscerne ne le manifestazioni ne la cura.
Le Tarantate quindi come simbolo ed espressione del lavoro contadino, sfiancante e senza riscatto e come segno della oppressione femminile, prima e in maggioranza a subire il morso e il RIMORSO. Vite riscattate con il progresso e lo sviluppo della società che avrà fatto molti danni, ma ha anche definitivamente riscattato da una condizione di subalternità intere classi .
Come tutto questo dolore, riesca ad essere da nove anni a questa parte, celebrato ne LA NOTTE DELLA TARANTA, evento che richiama folle da centomila persone a Melpignano il 28 agosto e che raduna gente che per imparare a ballare la “pizzica tanranta” si iscrive a scuole di ballo ,ignare di tutto, come se mai nessuno abbia sofferto del morso è forse la dimostrazione dell’assunto del MULINO BIANCO BARILLA che cancella dal passato qualsiasi traccia di pane e crusca e di tassa sul macinato e ci rende tutti bambini che sono sempre stati felici e ignoranti e soprattutto contenti di esserlo.