Non è il diario di un diabetico
Non ti voglio di Marco Zenone edito da Effedì edizioni è un romanzo che tratta un tema di grande attualità, che però spesso non viene affrontato nel modo giusto.
Il libro, a tratti autobiografico, vuole scardinare una serie di pregiudizi sul diabete di tipo 1 e far riflettere sul disagio psicologico di coloro che ne soffrono.
Marco Zenone, però, affronta queste tematiche con ironia e leggerezza, con l’intento anche di regalarci una storia che possa far riflettere su una malattia che viene spesso confusa con il diabete di tipo 2, che è completamente diversa.
Non ti voglio di Marco Zenone racconta la storia di Enzo, un ragazzo diabetico, e Arianna, una ragazza per la quale il diabete tipo 1 è una realtà sconosciuta. Enzo è angosciato dalla quotidiana convivenza con il diabete di tipo 1, malattia di cui soffre da quando era bambino e che lo rende particolarmente fragile. Tra chi ignora i suoi affanni c’è purtroppo anche la bella Arianna.
Il protagonista affronta il peso delle insicurezze con l’unica arma che possiede, l’autoironia, grazie alla quale riesce a rendere comiche le molte sfaccettature della malattia, anche quelle più scomode e dolorose.
«Mi chiamo Enzo Mercano e non sono bello, sono un tipo. Un tipo unico.
Anzi, un “tipo uno”. Essere un tipo uno non ti impedisce di diventare un maschio alfa, è solo un po’ più difficile ma volendo ci puoi riuscire.
Comunque non è il mio caso.»
Chi è Marco Zenone
Marco Zenone è nato a Galliate nel 1973 e vive a Oleggio, sempre in provincia di Novara, dove lavora come impiegato.
Nel 1978, a cinque anni non ancora compiuti, si ammala di diabete tipo 1.
Non ti voglio (Edizioni Effedì) è il suo romanzo d’esordio che ha dato alle stampe nel 2020, dopo due anni di lavoro.
Profili social:
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https://www.instagram.com/marco_zenone/
Non ti voglio di Marco Zenone ha ottenuto l’attenzione delle principali riviste italiane di diabetologia ed è stato scelto dalla Casa Editrice per partecipare all’Independent Grand Tour 2021, una rassegna dedicata all’editoria indipendente piemontese, la cui tappa finale si è tenuta al Salone Internazionale del Libro di Torino.
Grazie alla disponibilità di Marco Zenone, abbiamo parlato con l’autore di diversi aspetti che riguardano non solo il suo romanzo, ma anche la sua vita privata e il diabete di tipo 1.
Non ti voglio di Marco Zenone
Partiamo dall’inizio e spieghiamo ai nostri lettori perché ha scelto di parlare del tema del diabete 1 attraverso un romanzo.
A fine 2018, stimolato da una fase di vivace creatività, è nata l’idea di mettermi a lavorare a un romanzo. Potrà sembrare strano, ma tutto ciò non ha avuto origine dall’esigenza di dar voce al mio vissuto da malato cronico (soffro di diabete t1 dall’età di 5 anni) né di dare alle stampe un anonimo spaccato autobiografico dei dolori del (non più) giovane diabetico.
Occorre leggere almeno il primo capitolo per rendersene conto, ma forse allora non stenterete a credere che Non ti voglio è nato quasi esclusivamente sull’onda della mia passione per la letteratura e la scrittura.
Lo dico chiaro e tondo, non sentivo l’impellenza di scrivere qualcosa sul diabete.
Tuttavia, poiché le esperienze e gli episodi legati alla propria vita portano in sé una potenza unica e irripetibile, l’argomento del diabete, senza che quasi me ne accorgessi, è entrato nelle pagine del manoscritto. E piano piano ne è diventato il tema principale, proprio come, ovviamente e per altri motivi, è diventato il fulcro della mia esistenza.
Uno degli intenti del suo libro è anche quello di fare chiarezza sulla differenza tra diabete 1 e diabete 2. Perché ha sentito il bisogno di specificare questo aspetto?
Credo di non affermare nulla di sciocco sostenendo che il diabete di tipo 1 sia una malattia in parte misconosciuta e troppo spesso, con un po’ di pressappochismo, confusa col diabete di tipo 2. Le due patologie, per approccio terapeutico e psicologico, sono due mondi parecchio differenti e in comune hanno solo il nome e un livello di glucosio nel sangue soggetto a nocive e rischiose oscillazioni.
Lo stesso non si può dire del farmaco utilizzato per la cura del diabete tipo 1, cioè l’insulina, che solo in alcuni casi, o dopo molti anni di malattia, costituisce la terapia anche per il tipo 2.
Ci dice come è nata l’idea di raccontare la sua vicenda attraverso un romanzo?
Il romanzo prende le mosse soprattutto dalla vicenda tra Enzo e Arianna, che ho ricavato da un episodio personale legato alla malattia accaduto in un momento delicato dell’adolescenza e che per me è strato molto doloroso. Tuttavia volevo evitare a tutti i costi di soffermarmi sull’aspetto tragico del diabete,per non cadere troppo nel patetico inducendo quell’effetto di “pornografia del dolore” che oggi va tanto di moda. Così ho provato a raccontare la storia con un’angolazione e una prospettiva diverse, facendo largo uso dell’autoironia. Questo mi ha permesso di estirparne tutto il peso emotivo e la drammaticità. Il risultato è un romanzo di autofiction che procede per analogie intime tra Enzo e il sottoscritto alternando parti autobiografiche a parti di pura finzione.
Qual è il suo rapporto con la scrittura? L’ha scoperta in occasione della nascita di Non ti voglio oppure scriveva anche prima?
Come spiegavo in precedenza è sempre stata forte in me la passione per la letteratura e la scrittura. Purtroppo quest’ultima, vuoi per pigrizia, per mancanza di coraggio o di un progetto ben definito, l’ho praticata fino al 2018 solamente a mio uso e consumo.
Di questo me ne dispiaccio molto, considerato l’interesse che ha suscitato il mio primo romanzo e di quanto sono cresciuto a livello personale, prima scrivendolo e poi portandolo all’attenzione dei lettori attraverso le presentazioni e le interviste.
Torniamo al suo romanzo e parliamo dei pregiudizi di Arianna e della sua famiglia nei confronti della malattia del protagonista, Enzo. Che tipo di pregiudizi sono?
Come i personaggi del libro, molte persone tendono a semplificare la questione del diabete tipo 1 attraverso i tanti luoghi comuni che ancora accompagnano questa malattia. Mi sono trovato più volte a volermi inutilmente divincolare da quell’etichetta superficiale e facilona che classifica il diabete – senza distinzione – come la malattia degli anziani, che ti viene se mangi troppi dolci, che ti porterà all’amputazione di un piede nel giro di pochi anni, alla dialisi, poi alla cecità e all’impotenza e così via con altre insopportabili facezie.
Non bisogna dimenticare che il diabete tipo 1, oltre a essere una patologia cronica che se non adeguatamente controllata può diventare severamente invalidante, richiede una gestione pratica estremamente complessa, causa di forti condizionamenti che impattano in modo indiscutibile sulle relazioni e sulla socialità. Si pensi ad esempio al cibo – nella nostra società funge da vero e proprio lubrificante sociale – e di come per un diabetico tipo 1 – che deve valutare, calcolare, soppesare ogni cosa che mangia e beve – possa rappresentare un serio problema che non può non influire sulle dinamiche relazionali.
Domanda di rito: che progetti ha per il futuro?
Vorrei continuare a scrivere affrontando anche tematiche che non siano il diabete. In modo che Enzo, in attesa di nuove sue avventure, possa godersi un periodo di meritato riposo.