Una soluzione ai fraintendimenti
Non fraintendermi! di Irene Bertucci edito da Harper Collins è un saggio che con ironia accompagna il lettore nell’universo dei fraintendimenti, a casa, in famiglia, a lavoro e tra amici.
Parlare non è comunicare. I filtri dovuti ai nostri valori, esperienze, educazione, tono della voce, motivazione e tanto altro, non ci permettono di entrare immediatamente in sintonia con l’altro, generando inevitabilmente incomprensioni.
Non fraintendermi! di Irene Bertucci è un libro dal contenuto scientifico che con un linguaggio chiaro e diretto offre ai lettori strumenti per riconoscere gli equivoci e soluzioni per risolverli. Il testo ha un approccio multidisciplinare in cui trovano spazio psicologia cognitiva e comportamentale, linguistica avanzata e teorie della comunicazione, neuroscienza e antropologia, il tutto spiegato con semplicità e immediatezza.
L’obiettivo di Non fraintendermi! di Irene Bertucci é quello di permettere al lettore di riconoscere e abbattere i meccanismi che generano i conflitti e i malintesi nella comunicazione, creando frasi e discorsi che saranno compresi correttamente dal nostro interlocutore, trasmettendo così le nostre reali intenzioni.
Irene Bertucci è giornalista ed esperta in comunicazione strategica e neurolinguistica. Socio fondatore e direttrice della Scuola di comunicazione di Eidos Communication, insegna Comunicazione alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri e in altre organizzazioni pubbliche e private tra cui il Ministero degli Affari Esteri, il Ministero dell’Interno, l’Aeronautica Militare, la Comunità Ebraica di Roma.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare l’autrice alla quale abbiamo rivolto diverse domande sui meccanismi che generano i conflitti, sulle cause scatenanti e i “rimedi” da mettere in atto per prevenirli.
Non fraintendermi! di Irene Bertucci
Il suo libro racconta con ironia episodi di vita quotidiana che affrontano, però, un tema molto importante: l’incapacità di comunicare correttamente. Lei dice che “parlare non significa comunicare”. Ci può spiegare meglio questo concetto?
Le parole sono un codice che abbiamo appreso fin da bambini.
Sappiamo indicare con certezza un libro, un telefono, un cappello, il cellulare e qualunque altra cosa intorno a noi. Abbiamo un’esperienza simile di questi oggetti che hanno facilmente lo stesso significato per tutti. Abbiamo imparato anche a nominare sentimenti e valori, ma con le parole astratte le cose si complicano, perché non le intendiamo nello stesso modo.
Amore, amicizia, rispetto, onestà, famiglia, benessere, lavoro, successo hanno significati diversi sulla base della nostra esperienza pregressa. Su tutte le parole astratte, di cui è piena la nostra lingua, noi ci fraintendiamo. È importante capire allora cosa una parola significhi per me e cosa per te.
Comunicare significa comprendere e assecondare il meccanismo dell’interpretazione della realtà, che è unica e singolare per ogni persona.
Noi riteniamo che le nostre idee siano valide perché si basano su fatti concreti e quotidiani, su esperienze che consideriamo universali mentre sono ristrettamente e specificamente le nostre. In particolare noi siamo al 10% l’esperienza e l’osservazione delle cose intorno a noi e al 90% siamo creatori di significato. La realtà non esiste in sé, se non per la dimensione “solidità ed occupazione dello spazio”. Una bottiglia d’acqua esiste ma il fatto che la usiamo per l’acqua e non per la sabbia o un altro scopo è l’interpretazione che le abbiamo voluto dare. Sulla bottiglia d’acqua siamo tutti d’accordo, ma sul concetto astratto di “mancanza di rispetto” invece? La parola rispetto ha mille variabili quante sono le nostre esperienze di quella parola.
La percezione allora è tutto, è l’unica vera comunicazione. Per comunicare bene dobbiamo saper governare la percezione.
Il suo libro è un vero e proprio saggio. Il lettore può trovare anche consigli e strumenti pratici per approcciarsi ad una comunicazione efficace?
Il lettore può trovare tutti quei filtri che utilizziamo per interpretare la realtà, le parole, le esperienze. Conoscerli, analizzare, disinnescare questi filtri è utile per poter costruire frasi e discorsi a prova di malintesi. È pieno di esempi pratici e quotidiani, tratti dal lavoro e dalla famiglia. È un manuale che spiega come usare le parole e il perché siano così diverse per ognuno. Credo che porti anche a riflettere sul nostro modo di essere e comunicare per poi poterci relazionare in modo consapevole.
In “Non fraintendermi!” trova spazio anche la psicologia cognitiva. Partendo da questa, ci può dire brevemente perché nascono conflitti e discussioni? C’è un elemento scatenante?
Uno degli elementi scatenanti è credere che le nostre emozioni siano causate dai comportamenti degli altri.
Pensiamo per un momento al linguaggio che ci hanno insegnato da bambini. Senza che ce ne rendessimo davvero conto, né noi né i nostri genitori, è basato su un sistema “premio punizione, colpa e vergogna”.
Alcune frasi tipiche “Se non fai i compiti ti punisco”; “Se mangi tutto papa’ ti compra un regalo”; “Mi fai male se dici questo”; “Sei un egoista a stare sempre fuori casa” possono rappresentare, in ordine, un linguaggio che fa riferimento alla Punizione, al Premio, alla Colpa e alla Vergogna.
A rifletterci siamo cresciuti persuasi che il nostro comportamento generasse le emozioni dei nostri genitori. E ci siamo convinti che anche le nostre emozioni da adulti dipendano dagli altri.
Ma quello che gli altri dicono e fanno non è la causa . I nostri sentimenti derivano dai nostri bisogni profondi. Avremo reazioni positive se sono appagati e negative se non sono soddisfatti.
Leggi: “Sei sparito in questi giorni mi hai dato un dispiacere!” Questa frase incolpa l’altro del mio sentire, probabilmente inizierà una discussione.
Se invece dicessi: “Non mi hai chiamato negli ultimi due giorni e mi é dispiaciuto, volevo condividere con te dei pensieri” sto riconoscendo il mio bisogno. L’altro non sente di doversi difendersi a priori, può iniziare un dialogo. Imparare ad usare bene il linguaggio, privandolo dei sensi di colpa e delle accuse, è uno degli obiettivi del mio libro.
In base alla sua esperienza, è possibile che una percentuale delle incomprensioni e dei conflitti sia dovuto al mancato desiderio di entrare in comunicazione con l’altro? Il crescente isolamento dell’individuo moderno, al di là dell’incapacità di parlare efficacemente, può essere dovuto alla volontà di non voler comunicare e quindi di aprirsi all’altro?
Abbiamo tutti il grande desiderio di entrare in relazione con l’altro.” Solo che oggi, che parliamo molto attraverso i social, essere compresi si vive come un diritto. Inoltre scambiamo le opinioni, soprattutto le nostre, per verità. Tutti crediamo nelle nostre parole, soprattutto quando sono mosse da buone intenzioni. E in generale lo sono sempre, anche quando parliamo di argomenti che conosciamo poco e di cui abbiamo letto in modo superficiale o su siti vari di cui non conosciamo la fonte.
Cosi parliamo e pensiamo di comunicare, ma non è cosí.
E’ importante essere consapevoli che se l’altro non capisce spesso la responsabilità è la nostra che non siamo riusciti a confezionare un discorso perfetto per lui e i suoi filtri cognitivi.
Il suo libro è diretto ad un pubblico vastissimo, perché i conflitti si generano con chiunque e non solo sul posto di lavoro. Quando ha scritto “Non fraintendermi! Fine dei qui pro quo in ufficio, a casa, con gli amici” qual è stato l’obiettivo che si è posta?
Insegno comunicazione da più di vent’anni e non smetto di studiare ogni giorno. Devo molto a tanti autori e insegnanti tra cui Daniel Goleman, Beau Lotto, Richard Bandler, Marshall Rosenberg, per citarne solo alcuni, ma non trovavo un libro che fosse un manuale che racchiudesse le principali teorie della comunicazione con esempi concreti. Ho provato a farlo io. E volevo fosse scritto in un modo semplice e divertente, pur mantenendo il rigore scientifico, affinché potesse essere letto da più persone possibili. Abbiamo tutti voglia di trovare una soluzione ai fraintendimenti.