La disastrosa riforma delle Province sta comportando la perdita, pressoché irrimediabile, di servizi essenziali che riflettevano il livello di civiltà del Nostro Paese. Tra quelli da ritenersi essenziali e che rischiano lo stop definitivo il progetto “Libera” per le vittime di tratta e sfruttamento ed il centro antiviolenza che a Lecce aveva sede principale in viale Marche 17.
I progetti “Libera” e “Libera-Percorsi integrati per l’individuazione e l’accoglienza di persone ridotte o mantenute in schiavitù e in servitù”, che dal 2000 assicurano alle vittime di tratta e dei reati di riduzione e mantenimento in schiavitù e servitù, nei territori di Lecce, Brindisi e Taranto e la “co-realizzazione di percorsi di autonomia e autorealizzazione dentro un sistema di accoglienza fondato sulla democrazia delle relazioni”, se non interverranno le istituzioni, in primo luogo la Regione Puglia, dovranno essere chiusi.
A lanciare l’appello le operatrici che hanno ricordato che la ragione di questa scellerata fine è dovuta alla: “sincronia di una serie di fattori: la riforma delle Province, il passaggio di funzioni alla Regione, lo sganciamento operato dalla ministra Madia tra personale e funzioni. Ma la Provincia di Lecce non una parola ha speso per difendere il suo progetto e la sua stessa storia di accoglienza, così come la Regione Puglia è completamente assente”.
Al momento, salvo un interesse dell’ultima ora, niente sembra poter fermare questo processo. Niente più sostegno dunque per le donne e gli uomini che subiscono la tratta di esseri umani e che vivono una violenza indicibile. “La riduzione in schiavitù e servitù e la tratta di esseri umani rappresentano la più odiosa violazione di diritti umani universali e dei diritti delle donne” spiega Ines Rielli, responsabile del progetto che “per le donne migranti trafficate a scopo di sfruttamento sessuale e/o lavorativo, vuol dire avere ‘una stanza tutta per sé’, un luogo accogliente e sicuro dentro il quale trovare se stesse/i e riorganizzare la propria vita. Per gli uomini migranti, sfruttati nei campi, nell’industria, nei tanti settori dell’economia sommersa, vuol dire uscire dai ghetti fisici e mentali dello sfruttamento”.
Gli operatori impegnati nella rete contro la tratta “Sono donne e uomini che hanno contribuito a rendere più sicuro il nostro territorio: con le loro coraggiose denunce hanno permesso di fermare organizzazioni criminali di trafficanti e di sfruttatori presenti sul nostro territorio”. “In un momento in cui in Puglia si dovrebbero unire tutte le forze per potenziare la lotta ai trafficanti e agli sfruttatori, per rafforzare i sistemi di emersione, protezione sociale e la tutela delle vittime, cosa si fa?” continua “Si chiude! Un regalo a trafficanti e caporali, un oltraggio alle vittime. Un assurdo disinteresse politico e umano del tutto ingiustificato visto tra l’altro che i progetti ‘Libera’ vivono con fondi del Dipartimento per le Pari Opportunità. La messa in mobilità coatta delle operatrici lascerà le donne e gli uomini vittime di tratta e grave sfruttamento senza alcun riferimento. Nessuno/a si è posto il problema di dove andranno, cosa faranno, che ne sarà delle persone attualmente in carico quando tutto il personale se ne sarà andato”.
Eppure una strada percorribile ci sarebbe: “A differenza di altre Regioni che hanno organizzato per tempo sistemi regionali antitratta” aggiunge Ines Rielli, “la Regione Puglia, non ha fatto questa scelta e, nel recente disegno di legge di riordino delle funzioni non fondamentali delle Province, non dedica un solo pensiero alla tratta e allo sfruttamento di esseri umani in Puglia e di fatto abbandona a se stesse le vittime chiudendo dopo 16 anni l’unico presidio antitratta a sud di Bari, un territorio che tanto traffico di esseri umani ha visto e continua a vedere.Ed è questo appello rivolto al presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, al fine di assumersene la responsabilità e individui soluzioni immediate e non più rinviabili”.