Fisica medica e della lotta ai tumori nel mirino
“Non avrò scampo” è l’ultimo romanzo dello scrittore Vito Ferrone, edito da Apeiron. Anche questa volta la vita dell’ispettrice Maria Camilla Carafa de Asmundiis è scombussolata da un omicidio che, però, non ha niente a che fare con le solite violenze di camorra. Nella suggestiva cornice di una Napoli sempre più vivace e frenetica, l’ispettrice è alle prese con l’omicidio di un fisico nucleare, un evento che mette a dura prova le capacità investigative della donna. Il tema è complesso, e questa volta la de Asmundiis si trova catapultata nel fosco e vastissimo mondo dei farmaci ad alta selettività, della fisica medica, dei trattamenti chemioterapici e delle tecniche mediche innovative.
Vito Ferrone, lucano d’origine e napoletano di adozione, è ordinario di Chimica e Tecnologie chimiche presso l’I.T.I.S. “Elena di Savoia” di Napoli e “Non avrò scampo” è il suo settimo romanzo. Tra i suoi lavori ricordiamo Nucleo centrale, Immobilità centrale, Relatività centrale, Assenza centrale, Napoli è centrale, Centrale, e Aveva ancora i capelli bagnati.
Abbiamo avuto il piacere di scambiare alcune battute con l’autore, a cui abbiamo chiesto di svelarci qualcosa in più sulla de Asmundiis e la sua indagine.
“Non avrò scampo” di Vito Ferrone
Cominciamo dall’inizio. Lei ha scelto una donna come protagonista del suo nuovo sequel. Quali sono state le scelte che l’hanno guidata nel preferirla ad un commissario uomo?
Maria Camilla è una mia personale sfida. Una sfida con me stesso. Dopo sei romanzi con un protagonista maschile, il commissario Arcangelo Lombino, secondo molti mio alter ego ― io francamente non saprei, e come Hemingway, senza nessuna velleità, tranquillamente conscio di una distanza incolmabile, ho semplicemente ribadito: “è solo un romanzo”― dopo Lombino, dicevo, ho deciso di cambiare.
In molti me lo hanno sconsigliato, perché oggettivamente una protagonista femminile, una donna a tutto tondo come Camilla, era un percorso difficile da esplorare e certamente pieno d’insidie. Vero, però…
Napoli “motore primo” non è per me un modo dire e la variegata complessità delle donne è di una ricchezza tale da potervi attingere comunque. Insomma, vivo da anni in una città incredibile, che non conosce limiti, nel bene e nel male, che ama le donne come in nessun posto al mondo. E dove le donne, sarebbe il caso di riconoscerlo una volta e per tutte, sono le vere protagoniste. Un pozzo senza di fine di intelligenza, di sensibilità, di coraggio, di melanconia, di insicurezza, di determinazione, di sensualità. Ce la potevo fare.
Come sia andata a finire lo devono giudicare i lettori.
Ci racconta qualcosa in più sulla vita dell’ispettrice Maria Camilla Carafa de Asmundiis? Perché le ha dato un nome così “importante”?
Camilla è una donna che vive la vita come “carne e sangue”. È protettiva, vendicativa, pronta a rischiare in prima persona. Coraggiosa e assai poco fragile. Non concepisce, né perdona, il tradimento. Ricca e bella, non disdegna affatto la possibilità ― o se vuole la necessità ― di “sporcarsi le mani” in una realtà difficile, che non ha impermeabili isole felici. Poteva fare altro. Molto altro. Tutt’altro. Ha deciso invece di misurarsi con il dolore, la violenza, la morte. Non se ne è mai pentita.
Il vero punto debole della sveglia vice è Mattia, l’amore di una vita. Anche qui, niente retorica o glamour. Difatti Mattia testimonierà con il suo sacrificio cosa significhi amare. Camilla è per lui tutto ciò che rende la vita piena di significato, il fine e il mezzo o, forse, il metodo di un vivere colmo di spessore. Un vivere intelligente, divertente, colto, passionale. Di una passione che non conosce limiti. Il suo bene più prezioso è Camilla. E a sud di Nogales, nel deserto del Sonora, diventerà vero per sempre. La consapevole, abissale, differenza fra Mattia e gli altri suoi amanti, sarà per Maria Camilla la misura del suo tempo presente e delle sue scelte passate.
Perché un nome così importante? Perché mi affascinava l’idea di una ragazza ricca e di alto lignaggio che si confrontasse con la violenza, la sopraffazione, il delitto, la povertà, la furbizia, la precarietà. Io credo che sia la promiscuità inevitabile e resiliente di Napoli, ad avermi suggerito questo personaggio e queste storie. Ci penserà la madre di Maria Camilla, la signora Grazia Diletta Colonna de Raho, a cristallizzare una realtà, un mondo chiuso e bello. Forse sterile nella sua bellezza, eppure per certi versi insostituibile, la cui eco presente è nei miei libri la lirica, con la sua grandezza e con i suoi eccessi.
In “Non avrò scampo” lei affronta un tema di grande attualità, di cui si parla poco. C’è stato un evento particolare che l’ha spinta a scegliere questo argomento?
No, niente di particolare.
Alla ricerca di qualcosa di innovativo nel mondo della letteratura “gialla” e nel rispetto delle mie conoscenze e predilezioni culturali, da subito ho cercato personaggi che nel loro pensare e fare avessero come dedizione fondante ciò che io amo, la Fisica. E mai mi sono posto il problema se questa fosse strutturalmente connessa alla trama, cioè al suo districarsi e risolversi. In altri termini, non mi sono preoccupato se la soluzione di una storia avesse il suo fondamento nella Fisica e negli argomenti o temi che ogni volta trattavo, ho trattato, nei mei libri. La fisica delle alte energie, lo spazio-tempo, il dualismo onda particella, il gatto di Schrödinger, il paradosso dei gemelli, e altro ancora, erano, sono stati, la possibilità concreta di una divulgazione essenziale e accattivante, ma soprattutto di un esercizio di intelligenza, intesa come “adeguatio rei et intellectus”. Insomma,un commissario ― o un lettore, perché no? ― intelligente risolve, a prescindere. Se è anche “cazzimmoso”, il commissario s’intende, oltre a essere intelligente, risolve ancora di più.
Con Maria Camilla non era andata così. Nella prima indagine dal titolo “Aveva ancora i capelli bagnati”, niente Fisica. Poi il vecchio “vizio” è tornato, non con argomenti teorici. Ma nel rispetto della concretezza più propria di una donna come Maria Camilla, la Fisica è rientrata come Fisica medica per la lotta ai tumori.
Anche “Non avrò scampo” è ambientato a Napoli, la città in cui lei vive e lavora. Ha mai pensato di spostare le indagini della de Asmundiis in un’altra città che lei conosce bene? Se no, perché?
Io amo Napoli e, come ho scritto nell’ultimo romanzo, perciò stesso tengo il diritto di odiarla. I napoletani, capiranno.
Sono di origini lucane e un libro lo ho ambientato nella mia terra. Lombino torna a casa e si trova a dovere indagare, malgré lui.
Per il resto solo e sempre Napoli, che mi ha accolto e mi ha cresciuto. I primi anni in questo universo mondo che la città di Partenope è, sono stati tra i più belli della mia vita. Forse perché ero così giovane ― sono venuto per l’Università ― di certo non potrò mai dimenticare l’affetto e la sollecitudine del vicolo nei nostri confronti, studenti fuori sede. Soltanto perché vivevamo lì “senza mamma”. Per il solo fatto che eravamo lontano dalle nostre mamme avevamo diritto ad attenzioni, condiscendenza e pazienza. Ad essere curati, è successo a me.
Non ho mai dimenticato le mie origini. Come dice un mio carissimo amico vengo dalla zolla. Zolla lucana, colma di dignità e concretezza. Mai rinnegata, mai. Ma la mia vita è a Napoli, è di Napoli. E allora, per un debito di riconoscenza e per come strutturo i miei gialli, devo per forza ambientarli a Napoli.
C’è qualcosa del carattere della sua ispettrice che proprio non le piace, ma che è necessario per dare spessore e credibilità al suo personaggio?
I miei personaggi, in genere mi piacciono. Tanto tempo fa una mia amica colta, disse che si notavano nel mio scrivere continue proiezioni freudiane. “Un po’ troppe”, aggiunse. E aveva letto solo il primo, “Nucleo Centrale”. Anzi credo che sia stato l’unico che abbia letto. Forse non sopportava le proiezioni o non ama Freud, non saprei. Non so se ci avesse visto giusto e, francamente, non so nemmeno se avere voluto sostituire l’anima con l’inconscio, con tutto quello che ne consegue, sia stata una buona idea. Sono troppo ignorante per potere dire qualcosa di serio a questo proposito. Posso solo ricordare quanto sostenuto da alcuni miei lettori, attenti e appassionati, spero non solo buoni amici indulgenti, e cioè che “l’analisi psicologica dei personaggi è molto buona”.
Anche Maria Camilla mi piace. Tutta, così com’è. È un bel personaggio, sintesi di donne napoletane che ho conosciuto o solo incontrato in questi quaranta e passa anni. Alcune delle quali mi onorano ancora con la loro schietta amicizia, anche dopo “Aveva ancora i capelli bagnati”. Voglio dire che lo spessore e la credibilità di Maria Camilla sono lo spessore e la credibilità delle donne di Napoli, per come le ho intese.
Che progetti ha per il futuro?
Di continuare a scrivere al meglio di me stesso. Sto più o meno citando quell’ubriacone insopportabile e mai pentito di Hemingway. Che sapeva scrivere come io mai saprò. E con l’impareggiabile Ernest, voglio ricordare un’altra mia certezza, Simenon. Il padre di Maigret. La cui figura, quella di Maigret, in controluce riverbera sorniona nei miei romanzi. Venia e considerazione.
Questo in generale. Nello specifico, sono ritornato con un altro libro, che da poco ho terminato di scrivere, al commissario Arcangelo, Lino per gli amici, Lombino. “I confini del sangue”, il titolo. Credo sia un buon libro, ma ovviamente non spetta a me giudicare. In quanto a Maria Camilla ho cominciato a scrivere della sua terza indagine dal titolo provvisorio: “Verrà dicembre, e morirai”. Il primo motivo per il quale ho deciso per questo altro e, prevedo, assai faticoso divertissement, è perché credo sia assolutamente necessario approfondire le nuove frontiere della Fisica nucleare per la lotta, si spera vincente, alle terribili patologie tumorali. Il secondo motivo è Camilla. Ha un conto in sospeso con la legge, quella stessa legge che ha deciso di difendere. Lo deve pagare. Lo pagherà.