La Nomofobia è un termine che deriva dall’inglese: no-mobile (senza telefono) e dal suffisso fobia (paura) e rappresenta la paura di rimanere senza smartphone o senza rete internet
La società post moderna quella in cui viviamo, è una società iperconnessa, dove il detentore di circa il 70% della conoscenza è lo smartphone.
Numeri di telefono, password di acceso al conto bancario, mail, chat di Whathsapp, carte di credito inserite su un wallet virtuale, sono solo alcune delle informazioni che contiene il nostro smartphone.
Considerando che con un click il cellulare consente di accedere anche a tutte le informazioni presenti sul web, possiamo dire che è l’elemento di connessione con il mondo esterno. Ma soprattutto è il detentore assoluto della conoscenza.
La Nomofobia rappresenta una delle fobie sociali che nascono con l’ eccessiva connessione ad internet.
E’ evidente che perdere il cellulare equivale a perdere un pezzo importante di noi stessi. Oggi è quasi meglio perdere un portafoglio che un telefono. Il portafoglio al massimo ci porta il disagio di dover rifare i documenti di riconoscimento. Se perdiamo lo smartphone possiamo dire addio ad un pezzo del nostro presente : tutte le App in uso, le password i codici di accesso ed i numeri di telefono in rubrica. Per non parlare delle centinaia e centinaia di foto accumulate nel tempo.
La Nomofobia determina uno stato di ansia e panico quando tutto questo ci viene tolto.
Il cellulare ha cambiato anche la nostra gestualità. Secondo un analisi del sito Dscout in media controlliamo il cellulare 150 volte al giorno, e lo tocchiamo in media 2.617 volte. Praticamente abbiamo reso il nostro smartphone un appendice della mano.
Una delle maggiori cause sono l’arrivo delle notifiche attivate sulle App.
La spunta o il suono ci “costringono” a sbloccare il cellulare, per vedere subito di cosa si tratta, accentuando il rito del touch. Soddisfare la curiosità di leggere una mail o vedere chi ci ha messo un like fa stare bene, in quanto aumenta la quantità di dopamina, creando dipendenza. Lo stesso effetto che si crea nei giocatori d’azzardo.
Per evitare lo stress determinato dall’arrivo delle notifiche, talvolta si elimina la suoneria. Questo crea un effetto contrario, perchè obbliga a veder lo smartphone con più frequenza con la speranza di trovare delle notifiche. L’unica soluzione è posizionarlo in una stanza lontana, per non averlo a portata di mano.
In sintesi l’ iperconnessione apparentemente ci connette con il mondo, ma in realtà ci isola facendoci allontanare dal contesto che ci circonda.
Un contesto che talvolta non ci interessa più, in quanto tutto ciò di cui abbiamo bisogno , viene appagato dallo smartphone. Soddisfa tutte le esigenze di: conoscenza, informazione, formazione, curiosità, socializzazione virtuale.
Contiene tutte le informazioni che riguardano i nostri hobbies e le nostre passioni. Ci mette in connessione tramite chat: con famiglia, amici, agevola anche le nuove conoscenze. Lo smartphone è il nostro piccolo mondo che non tradisce, perchè ha la risposta a tutte le domande. Ha sempre un contenuto da mostrarci, di cui non siamo mai sazi abbastanza e ne vogliamo sempre di più.
Questa iperconnessione determina una forma di schiavitù dallo smartphone, perchè di fatto è li che accade ogni cosa ed è difficile staccarsi.
Adam Alter, professore di psicologia e marketing all’Università di New York ha scritto un libero che si chiama “Irresistibile” relativo proprio alla dipendenza dalle nuove tecnologie.
L’autore racconta quali sono i processi che scatenano il fascino “irresistibile” verso l’ iperconnessione, ma ci da anche alcuni consigli per trasformare questa “dipendenza”, in un beneficio verso noi stessi e verso le persone che ci circondano.
Imparare ad usare la tecnologia come un tramite per dare valore. Non lasciarsi gestire da internet, ma gestire noi il tempo che scegliamo di trascorre in connessione.