L’assegnazione del Nobel a Bob Dylan sembra aver scatenato sul web un’ennesima “guerra delle due rose”.
Domanda chiave: i testi delle canzoni sono letteratura? Da anni li troviamo nelle antologie scolastiche come testi significativi che contengono “anche” poesia, ma che nella definizione di letteratura ancora in auge non rientrano, dal momento che la loro funzione principale non è “estetica” come nella poesia, ma “emotiva” come in una lettera, in un diario e appunto in una canzone.
Bob Dylan è stato per molti di noi la colonna sonora della nostra vita, insieme a tanti altri cantautori, ha scritto testi indimenticabili con i quali ha raggiunto un enorme pubblico, che, come ben sappiamo, può permettersi solo chi si affida a quella strordinaria macchina organizzativa e pubblicitaria che sta dietro tutti i grandi successi, compreso il suo e che è capace di riempire gli stadi creando eventi mediatici di proporzioni e effetti certo molto diversi da quelli che sono possibili alla letteratura.
Aveva bisogno Dylan del Nobel? Crediamo proprio di no, la sua fama e il suo successo anche economico lo ha ottenuto altrove nell’ambito di ciò che gli era proprio. Volerlo forzatamente collocare nello spazio della letteratura significa non riconoscere sufficente valore culturale alla “canzone” in sé e a questo eccezionale menestrello che sappiamo avere segnato con i suoi testi musicati tutta un’epoca.
Chi approva la sua vittoria al Nobel è legittimato a farlo, così come lo è chi si rivela in disaccordo, sulla base di alcune ragioni che entrano nel merito della definizione stessa di letteratura, come viene ancora proposta da chi ne fa oggetto del proprio lavoro e studio. Se la definizione appare ad alcuni obsoleta, sono chiamati a cambiarla con strumenti critici adeguati, ma non a desautorarla,.
E qui arriviamo al nostro titolo. Alessandro Baricco si è chiesto, a proposito dell’assegnazione di questo Nobel, “che ha a che fare con i libri”; lo hanno detto anche altri, più autorevoli o meno di lui, non importa, con parole differenti ma con la stessa sostanza.
Però su questa semplice frase, espressa per altro senza attacchi personali e livori compressi verso nessuno, il livoroso sport nazionale di sparare su di lui, è ricominciato con accanimento.
Nasce il sospetto che non gli si perdoni l’enorme successo, che anzi nel suo caso diventa elemento “denigratorio”, mentre per Dylan l’enorme successo diventa invece riconoscimento del suo ruolo di icona del nostro tempo e del valore dei suoi testi e del suo messaggio.
Smettetela di sparare su Baricco. Se siete lettori e, dopo averne letto perlomeno un libro, non vi piace, non leggetelo e se siete critici, scrittori, docenti, a diverso titolo competenti di letteratura, analizzatene i testi con gli strumenti della critica letteraria e solo su queste basi esprimete un giudizio di valore.
Baricco scrive libri, quindi partecipa comunque della letteratura, bassa o alta che la riteniate e ha diritto ad esprimere il suo parere. Anche alla Deledda, di cui quest’anno ricorre l’anniversario, i suoi contemporanei, soprattutto critici e colleghi, dissero che non sapeva scrivere e oggi con ampia documentazione conosciamo le non nobili motivazioni che soggiacevano a certe critiche.
Ascoltatevi Dylan, perché leggerne soltanto i testi vi priverebbe della fondamentale esperienza dell’ascolto dove la musica aggrega alle parole il peso emotivo che ce le rende indimenticabili.
E se volete, leggetevi Baricco senza pregiudizi, che forse qualche piacere estetico in più e non solo emozionale, potrebbe darvelo.
Sarebbe auspicabile che, vista la complessità delle nostre società e la proliferazione di linguaggi e approcci comunicativi, l’Accademia svedese istituisse un Nobel per la Cultura, dove a ragione troverebbero posto saggisti, cantautori, promotori culturali e quanti altri, attraverso mezzi differenti, rappresentano un’eccellenza culturale nel proprio ambito.