La piccola Aishat è venuta alla luce pochi giorni fa e viene sottoposta a una serie di controlli medici presso un centro sanitario sostenuto dall’UNICEF in un campo profughi del nord est della Nigeria, una zona dove facciamo un grande lavoro per assicurare che la salute dei neonati venga monitorata fin dalle primissime ore di vita.
La Nigeria, il gigante africano per numerosità della popolazione, è il paese del continente dove ogni anno muore il maggior numero di bambini.
Questione di proporzioni ovviamente, ma non solo. Per molti bambini il primo giorno di vita à anche l’ultimo, spesso per cause che possono essere prevenute. Basti pensare che l’80% della mortalità neonatale è dovuto a nascite premature, asfissia, complicazioni durante il parto o infezioni come polmonite e sepsi.
Per prevenire queste tragedie basterebbero una migliore qualificazione delle ostetriche, visite prenatali e postnatali effettuate con regolarità, la possibilità di partorire in strutture sanitarie, l’utilizzo di acqua pulita e disinfettanti durante il parto, nonché gesti semplici ma efficacissimi come lavarsi le mani e allattare al seno.
Troppo spesso, però, anche queste semplici soluzioni sono fuori dalla portata economica delle madri e dei bambini che ne hanno più bisogno.
Tanto per dare un’idea comparativa, le ultime stime rilevano che in Nigeria solo il 43% dei parti avviene con l’assistenza di personale specializzato, laddove in Italia il dato analogo è al 99,9%.
Negli ultimi 30 anni, grazie anche alle strategie integrate dell’UNICEF per la salute materno-infantile, la mortalità sotto i 15 anni è stata ridotta del 56%, ma ancora oggi i bambini che vivono in zone di conflitto o crisi umanitarie hanno spesso sistemi sanitari deboli e non possono accedere a cure salvavita essenziali.