È scomparso martedì 23 gennaio all’età di 103 anni, nella sua casa del Municipio de la Reina a Santiago del Cile, il poeta cileno, matematico, fisico e accademico, Premio Cervantes 2011, Nicanor Parra, fratello di Violeta Parra, anche lei, con la sua musica e le sue canzoni, geniale cantore della sua terra. Nato a San Fabián del Alico, in una famiglia numerosa e ricca di talento, è stato l’unico a laurearsi, in fisica e per trent’anni ha insegnato nella facoltà di Ingegneria dell’Università del Cile. Di formazione scientifica fu un rinnovatore unico nella creazione letteraria, come venne definito, “una pietra secca di prosaicità anglosassone nel verboso stagno francesizzato della poesia spagnola”. Il Cile ha dato straordinari poeti nella contemporaneità che hanno come pochi prodotto uno sguardo e un linguaggio nuovo sul mondo.
Nicanor, vera e propria leggenda della letteratura ispanoamericana, autore del celebre Poemas y antipoemas (Poemi e antipoemi) , pubblicato nel 1954, ha profondamento contribuito a collocare la poesia latinoamericana in uno spazio altro dalla letteratura spagnola della vecchia madre patria, reinventando un “castigliano” lontano dalle ampollosità e barocchismi che la lingua dei dominatori aveva imposto. Era e si considerava un antipoeta, fuori da scuole, da adesioni programmatiche, diverso dai cantori dell’apparenza, in opposizione ai letterati integrati nel sistema di valori di una classe dirigente che da sempre sfruttava e opprimeva il popolo, un ribelle, un sognatore, un combattente. Nel 1973, l’anno del golpe di Pinochet, entrò a far parte del mitico Dipartimento di Studi Umanistici della facoltà di Matematica, che durante la dittatura si convertì in uno spazio di libero pensiero e opposizione al regime.
Nicanor Parra è sopravvissuto al gruppo più significativo dei poeti cileni contemporanei di cui fecero parte, tra gli altri, Pablo Neruda, Gabriela Mistral, Vicente Huidobro, Gonzalo Rojas. Di lui si è detto che ha riempito le pagine della storia cilena con la sua immaginazione, il suo talento, la sua creativa irriverenza. Era anche artista plastico. Nel 1972 pubblicò una brillante collezione di poemi visuali, che in questi giorni sono esposti in una mostra al Museo d’Arte Contemporanea di Barcellona insieme ai suoi lavori pratici. Questi testi intensi, polisemici, che contengono immagini, versi, slogans, da lui chiamati Artefactos (Artefatti), rappresentano per la letteratura in lingua spagnola ciò che ha rappresentato Duchamp per l’arte contemporanea.
Fu il primo in essi a utilizzare un’ortografia che comprendeva segni grafici, anticipando di anni il linguaggio dei computer e dei cellulari contaminato da simboli grafici e matematici in sostituzione delle parole, alla ricerca di un’essenzialità, di una sintesi che potesse raccontare il mondo senza orpelli. “Vita in parole/ un enigma che si nega ad essere decifrato dai professori/ un poco di verità e un’aspirina/ Antipoesia sei tu”.
Nonostante fosse considerato un’indiscutibile icona culturale, Parra rifuggiva dalle etichette, era il creatore dell’antipoesia e non poteva accettare nessun canone. Perché per lui l’ispirazione, il verso non era cosa da accademie, ma linfa che pullulava per le strade, un approccio narrativo che eliminava certo lirismo, che con frequenza ruotava intorno ad un antieroe, con un linguaggio colloquiale nel quale naturalmente si installavano l’humor e l’ironia. “No alla poesia del piccolo Dio (riferimento a Vicente Huidobro), no alla poesia del Toro furioso (riferendosi a Pablo de Rokha), no alla poesia della vacca sacra (riguardo a Pablo Neruda)”.
I suoi No al meglio della poesia del suo tempo non nascevano da disistima del suo valore, ma dalla necessità di occupare uno spazio non occupato da nessuno, dove la bellezza non nascesse da un appassionato lirismo tipico della poesia sudamericana, anche quando possiede forti componenti sociali e politiche, ma da una rappresentazione scarna e essenziale del reale. In un’intervista dove cercavano di strappargli polemiche dichiarazioni su Neruda, che peraltro gli aveva scritto la prefazione a Poemas y Antipoemas, dichiarò: “Non voglio essere il migliore poeta del Cile, mi basta essere il più grande di Isla Negra”, luogo dove sia lui che Neruda vivevano.
Una folla immensa, di semplici cittadini oltre che di letterati, politici, uomini di cultura e di scienza, ha riempito la Cattedrale Metropolitana di Santiago e i suoi dintorni per rendergli omaggio. Perché quello che veniva vegliato era l’antipoeta che aveva trovato nel parlare e nel vivere quotidiano del suo popolo la forza innovativa e straordinaria dei suoi versi. Nessun drappo di seta copriva il suo feretro, solo una coperta patchwork di svariati colori tessuta a mano che sua nipote Isabel Parra, figlia di Violeta e anche lei cantante nazionale, ha rivelato alla radio come opera di sua nonna Clara Sandoval.
Canzoni di sua sorella, Violeta Parra hanno accompagnato il suo funerale e sulla sua bara stava scritto, come lui stesso lasciò indicato, “Voy & Vuelvo” (Vado e vengo), un verso tratto dalla sua opera Versos de salón del 1962. Perché l’antipoeta non si smentisce neppure di fronte alla morte. “Durante mezzo secolo/ la poesia fu/ il paradiso del tonto solenne/ fino a che giunsi io/ e mi installai con la mia montagna russa/salite se volete/ Chiaro che io non ne rispondo se scendete buttando fuori sangue dalla bocca e dalle narici”.
Due giorni di lutto nazionale sono stati stabiliti in suo onore, ma sicuramente Nicanor Parra ne sorride nella sua raggiunta eternità.