Stamattina, al Cinema Vittoria, è stato il turno di Roan Johnson, sceneggiatore per la televisione e regista de I primi della lista, film con Claudio Santamaria che narra la vicenda, ambientata a Pisa nel 1970, di tre ragazzi militanti di sinistra (Pino Masi cantastorie noto per il suo impegno politico negli anni di Piombo e già collaboratore di Fabrizio De Andrè -, Renzo Lulli e Fabio Gismondi) che scappano dalla loro città il 1 giugno perché ricevono notizie certe di un imminente colpo di stato militare ordito dalla Decima Flottiglia MAS. La prima cosa da sottolineare è che noi non abbiamo inventato praticamente niente. Se uno si chiede se gli eventi sono andati così, se, così, ha esordito Johnson. Questa storia è stata raccontata da Renzo Lulli che adesso ha 60 anni, vive in Marocco ed ha “continuato, in un certo senso, la sua fuga”. Quando mi è arrivato il soggetto da un amico in comune con Lulli l’ho letto e pensato: “c’è qualcosa che mi ritorna in mente”. Pensavo fosse una leggenda metropolitana pisana ma, parlando con Lulli, capisco che tutto era vero. Lui aveva scritto un soggetto molto auto-ironico, leggero, divertente. Si era messo molto in gioco: era come se avesse digerito quella meravigliosa epica cazzata in maniera normale. Poi sono andato da Gismondi che mi ha detto: «Siamo riusciti per 40 anni a non farlo sapere e ora vuoi farci un film? A me 40 anni che prendono per il culo!». Pino Masi è quello che ha avuto più problemi con questa storia. Quando siamo andati a mangiare una pizza assieme e inizialmente gli ho chiesto di parlare dell’Austria mi ha detto: «Io c’avevo due ragazze a Vienna e ho detto “Andiamo a trovare ste due tipe…”». Johnson, anche giustificando il tono comico e canzonatorio della commedia, ha specificato un aspetto fondamentale per la lettura dell’opera: «La scritta finale che dice che effettivamente Borghese provò a fare il colpo di stato a Dicembre di quell’anno fa dire “saranno stato anche imbecilli, ma tutti i torti non avevano”».
Due dei tre protagonisti (Paolo Cioni e Francesco Turbanti) nel 2010 erano esordienti e non è stato facile inizialmente per loro recitare davanti alle telecamere. Johnson ha espresso, in questo caso, parole al miele per Claudio Santamaria: «Gli attori sono una categoria molto fragile perché mettono loro stessi sullo schermo e questo comporta una serie di preoccupazioni, stress e lavoro costante. Dopo l’incontro con Santamaria, ho scoperto che é veramente uno alla mano e ha una caratteristica incredibile per un attore: aiuta gli altri. Se gli altri sono stati così bravi è anche grazie a Claudio. Lui ha aiutato molto loro e gli ha fatto quasi da spalla: è stato veramente generoso e lo ringrazierei molto».
Johnson ha poi parlato del suo nuovo film, “Fino a qui tutto bene”, girato con soli 50.000 e con l’aiuto di alcuni studenti pisani. L’idea è nata da un documentario ma, grazie all’intuizione della sua compagna, si è trasformata in una pellicola a bassissimo budget, vero e proprio “orgoglio” del regista di Pisa. Jonhson mette in scena un weekend di cinque amici che, volendo “sfidare” la crisi, non arrendendosi al periodo buio e preparandosi ad entrare nel mondo del lavoro dopo la “conquista” della laurea, riflettono sul loro futuro in una casa in coabitazione. Il film sarà presentato al Festival Internazionale del film di Roma e verrà distribuito da Microcinema nella sale dal 6 novembre.
– “Fino a qui tutto bene”, titolo del suo prossimo film, è una citazione voluta de “L’odio” di Mathieu Kassovitz?«Posso sicuramente dirti che “L’odio” è, senza alcun dubbio, nella mia Top 10 dei film preferiti. “Fino a qui tutto bene” parla di un ambiente protetto dove i protagonisti pensano “fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene”. Ma il problema non è la caduta, ma l’atterraggio, cosa succederà dopo. Abbiamo preso il “senso” di un film che amo tantissimo ma, allo stesso tempo, non abbiamo voluto rifarlo».